Skip to main content

Ultima fatica del leggendario Spike Lee, BlacKkKlansman ci invita a guardare indietro (ma non troppo) per capire il presente e non sottovalutarne i risvolti più ambigui.

Sofia Brugali e Margherita Fontana ci dilettano con le loro auguste opinioni che come sempre vanno oltre “what meets the eye”.

BlacKkKlansman – visto da Sofia Brugali

Le relazioni interraziali sono un tema già discusso da Spike Lee e tornano ad essere analizzate nel suo nuovo film, Blackkklansman, tratto dal (quasi) omonimo libro di Ron Stallworth, in cui viene raccontata la vera storia dello scrittore ex-poliziotto. Il regista, attraverso colori e musiche retrò, ci trasporta negli Stati Uniti degli Anni Sessanta e più precisamente a Colorado Springs: qui Ron, primo agente afroamericano della città, insieme al collega Flip Zimmerman, di origine ebrea, riescono ad infiltrarsi nella sezione locale del Ku Klux Klan e a raggiungerne i vertici. La vicenda, che potrebbe ben essere scambiata per una barzelletta, è affrontata con arguta comicità e tragico realismo: il film risulta essere d’azione, ma è anche e soprattutto un continuo scorrere di parole, ideali, convinzioni. Il motore della scena è il contrasto tra gli afroamericani in lotta per i propri diritti ed i suprematisti bianchi, in un confronto che dal passato giunge al presente, che nel passato vede le radici del presente: da Wilson a Trump, la storia si ripete.

BlacKkKlansman – visto da Margherita Fontana

L’ultimo film di Spike Lee mescola in modo brillante una storia vera e un immaginario (cinematografico) presentandosi, sin dal suo titolo impronunciabile, come un omaggio alla strategia della riappropriazione culturale. Da un lato c’è il racconto autobiografico di Ron Stallworth: primo poliziotto di colore di Colorado Springs, Ron si infiltrò nel gruppo locale del Ku Klux Klan, arrivando a intrattenere edificanti conversazioni telefoniche con il capo dell’organizzazione. Dall’altro, c’è l’immaginario cinematografico della Blaxploitation degli anni ’70, di Shaft e di Superfly. Ma i possibili riferimenti non si fermano qui: Black Klansman, noto anche come I Crossed the Color Line è anche un grottesco film del 1966 che racconta la vendetta di un uomo di colore (interpretato da un bianco) la cui figlia è stata uccisa dal KKK. Attraverso questo reticolo di citazioni (e di riappropriazioni) che passa anche attraverso il “film più razzista della storia”, The Birth of The Nation (1915) di Griffith, Spike Lee invita il suo spettatore a non sottovalutare il potere delle immagini (e delle parole) nell’era di Donald Trump.

Leave a Reply