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Si fa un gran parlare de “La Favorita” di Yorgos Lanthimos, e anche AsinoVola non poteva essere da meno. Con una novità; alla recensione abbiamo abbinato un articolo di costume che può essere gustato da chi il film lo ha apprezzato, da chi si è annoiato oppure da chi il film mica l’ha visto, ma ama l’ananas.

Recensione di Elena Saltarelli, approfondimento di Virginia Carolfi.

La Favorita – visto da Elena Saltarelli

Inghilterra, inizio Settecento. Siamo alla corte della piccola e fragile regina Anna, qui si svolge la narrazione che Lanthimos ha voluto riportare alla luce. Qui troviamo la capacità di dare un punto d’appoggio al gioco della corte, un gioco infantile fatto di dispetti e di arido arrivismo. Non c’è amore, non c’è solidarietà, non c’è nessuna morale nella storia muta che riflette noi, iper-contemporanei, nei nostri giochi di instabile potere. Il lusso è regredito alla sfrenata voglia, una voglia che non riesce a trovare un obiettivo reale perché nasce da un’abissale mancanza.
Tutto in questo film viene sospinto, dai margini, verso un centro nero e buio, che è appunto il nulla di cui si nutrono le vite dei personaggi che vengono descritti dai sapienti occhi del regista greco. Nulla a che vedere con le astrazioni e i simbolismi di The Lobster: a parer mio in quest’opera sia l’elemento fotografico che sonoro concorrono a voler provare a dare voce e ciò che voce non ha, ovvero il void a cui è costretto chi ha troppo e ne viene consumato. Scena dopo scena, le facce si ingrigiscono, perdono spessore e consistenza: Anna si gonfia fino a diventare una triste creatura neonata che accetta rabbiosa il suo destino, lasciando a se stessa solo il penoso piacere di poter schiacciare a terra chi la tiene in pugno.
Sullo sfondo di questa insana tragicommedia femminile siede pacato l’uomo, che si bea della visione, instancabile e perdente, di queste donne che con tutte le loro forze cercano di impadronirsi di un potere che nella realtà dei fatti non potranno ottenere mai.

L’ananas della concordia – di Virginia Carolfi

Dato che sono fermamente convinta che Lanthimos sia un fanfarone e ami prenderci per il culo, ho deciso di ignorare il film e concentrarmi invece sull’unico dettaglio che mi ha colpita, l’ananas. Sembrerà una riflessione peregrina ma così non è, cari miei; il buon Yorgos – nell’inserire la battuta “tra poco la mia domestica salirà le scale con una cosa chiamata ananas” – ha forse centrato uno degli hype più grandi dell’epoca. E se alla fine poco ci importa dell’ennesimo dramma “Eva contro Eva”, perdere cinque minuti e scoprire perché l’Europa impazzì per quel frutto esotico può risultare molto utile in caso di trivial pursuit o nell’evenienza ci si trovi a corto di argomenti in una cena romantica.

Nel libro “Sexing the cherry” – in parte ambientato in un’epoca quasi contemporanea a quella de La Favorita – Jeanette Winterson trasforma l’ananas in un vero e proprio oggetto del desiderio ed è il protagonista, Jordan, che porta il primo esemplare di pineapple nella cara vecchia Inghilterra, sintetizzando in questo frutto la sue sete per l’esotico e il bizzarro. Perché, che ci crediate o meno, tra fine ‘600 e inizio ‘700 l’Europa considerava il lusso dei lussi potersi fregiare a cena di un’ananas; la fame collettiva raggiunse livelli parossistici, il frutto col ciuffo comparve nel blasone di regnanti (King Billy – Guglielmo d’Orange), in quadri (Carlo II d’Inghilterra ci ha donato un mirabile esempio dell’ananas-mania facendosi ritrarre nell’atto di riceverla in omaggio, eh già), mobili, sculture marmoree da giardino. Era un bene così prezioso che spesso non veniva neppure mangiato, veniva semplicemente esposto, giallo e trionfante, durante banchetti e libagioni. Anzi, c’è di meglio, veniva noleggiato; non ti potevi permettere un’ananas? Bene, potevi però permetterti di portarla a spasso una sera, oppure farle fare un giro a una festa di gala. Il divino frutto era così amato da diventare simbolo di generosità e accoglienza, e comparve disegnato o inciso sulle testate dei letti, su porcellane o stoviglie varie, facendo la felicità di casalinghe disperate ante litteram. Ma a ben pensarci, chi non ha visto ananas stilizzate campeggiare sulle colonne dei cancelli d’ingresso delle ville settecentesche italiane? Un omaggio al visitatore, subito accolto dal simbolo dell’ospitalità per eccellenza, e allo stesso tempo una dimostrazione di sapiente ricchezza. A Lanthimos quindi il merito di averci fatto fare un tuffo nella sociologia gastronomica settecentesca, fatta di dame scaltre in grado di corrompere i fruttaroli di mezzo mondo per accaparrarsi il frutto dorato e di regnanti impegnati in una estenuante gara per costruire serre sempre più moderne ed efficienti in grado di soddisfare la bramosia culinaria delle corti d’Europa. Chiosando Oscar Wilde, “niente è più necessario del superfluo”, soprattutto se cambia la storia.

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