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A cura di Margherita Fontana

Nelle giornate del 21 e 22 novembre 2017 i fan di Prince sparsi in tutto il mondo si sono radunati al cinema per vedere in versione restaurata il film-concerto Sign O’ The Times, diretto dal folletto di Minneapolis nel 1987. Si trattava a tutti gli effetti di un’occasione imperdibile, dal momento che quest’opera del compianto genio polistrumentista non è mai stata distribuita in DVD in Europa, né tantomeno negli Stati Uniti. Adesso o mai più insomma. In quanto maggiore esperta di Prince all’interno della redazione di AsinoVola, sono stata giudicata la persona più adatta per offrire un resoconto di questa esperienza per coloro i quali purtroppo (per loro) non hanno potuto o voluto esserci.

Partiamo dunque dall’inizio e quindi dalla nascita di questo lungometraggio quasi dimenticato. Nel 1987 Prince si trova a dover promuovere le vendite dell’omonimo album, Sign O’ The Times, il primo realizzato dopo lo scioglimento della sua storica band The Revolution e riconosciuto da molti come la sua opera più significativa: un doppio LP che trascina l’ascoltatore nelle contraddizioni sonore e morali degli anni ’80, una riflessione selvaggia sulla mistica dell’amore e del sesso, una sintesi di quasi tutto quello che la musica nera è stata e sarà. Tuttavia, nonostante la monumentalità del progetto e l’obiettiva bellezza di questo disco, le vendite al momento del lancio non sono ahimè soddisfacenti per la Warner Bros. Prince, che all’epoca ha già (purtroppo) esperienza con il cinema, decide quindi che un bel film-concerto girato durante una delle sue date europee e poi distribuito nel circuito cinematografico statunitense è la soluzione alla sua crisi con la Warner. Neanche a farlo apposta, ovviamente Sign O’ The Times sarà un flop, ma mi sento di dire che sono grata a Prince per aver promosso la realizzazione di questo film, bellissimo e bruttissimo come solo lui avrebbe saputo fare.

Non si tratta infatti “solo” di un concerto filmato, ma di una sorta di opera rock diretta da Prince stesso, che inscena la storia d’amore tra quest’ultimo e la ballerina Cat Glover, all’epoca regina delle sue coreografie. Come ho già ricordato, Prince nell’87 ha maturato una certa esperienza in fatto di cinema (brutto). Nel 1985, infatti, Prince e la sua band The Revolution vincono addirittura l’Oscar per la migliore colonna sonora originale per Purple Rain, una sbrodolata semi-autobiografica sull’esordio della carriera del folletto di Minneapolis, che qui si esibisce in veste di attore protagonista. Un film recitato vergognosamente male, ma che continua a scaldare i nostri cuori per la sua ingenuità (la stessa mostrata dal regista Albert Magnoli, che in un’intervista inclusa nell’edizione speciale del DVD del film si commuove di fronte alla consapevolezza di aver creato qualcosa di grande e autentico). Ma non è finita qui: insieme a un premio Oscar, Prince può vantare anche di aver sbancato l’edizione dell’anno successivo dei Razzie Award, con Under the Cherry Moon, sua opera prima come regista, con ben 8 nomination e 5 premi (tra cui quelli a Prince per il peggior, film, peggior regia e peggiore performance come attore protagonista).

Un grande momento di cinema tratto da Purple Rain: la purificazione nel lago Minnetonka.

Nonostante questi precedenti, nell’87 Prince parte in quarta con la realizzazione di questo altro grandissimo, bruttissimo e bellissimo film. Gli aggettivi iperbolici, seppur banali e in parte dovuti all’amore incondizionato che chi scrive prova per Prince, non sono scelti a caso. Innanzitutto, Sign O’ The Times è un grandissimo film perché è una restituzione vivace del talento dell’artista allora ancora conosciuto come Prince come stage performer, scenografo, coreografo, musicista e chi ne ha più ne metta. È un tributo sfavillante all’estetica che ha contribuito a formare, celebrato insieme agli straordinari artisti che lo accompagnano, una su tutti, la batterista Sheila E., spesso ripresa durante assoli eccezionali fatti in micro-tutine di lycra mono-gamba. Fantastica. Ma Sign O’ The Times, come tutti i film di (e con) Prince è anche un film bruttissimo. Girato inizialmente durante una data del tour europeo dell’87 in Olanda, il materiale venne scartato per la qualità scadente dell’immagine e del suono. Lo spettacolo fu quindi rimesso in scena a Paisley Park, casa-studio di Prince a Minneapolis, ma il film, visto oggi oltretutto in versione restaurata, è per un buon 70% sfuocato. Imbarazzante anche l’inserimento all’interno della “trama” del video musicale della canzone “U Got The Look” che suona come un delirio in playback in un concerto dal vivo. Tutto questo per non parlare delle brevi scene cucite tra un brano e l’altro e che dovrebbero costruire una, seppur semplice, cornice narrativa al film: nessuno che sappia recitare, o almeno fingere di conoscere, la (ridicola) sceneggiatura. Tutto questo però non impedisce che si tratti di un film bellissimo, almeno per chi ha amato Prince e il suo universo artistico ed estetico. Perché ad un certo punto non interessa più a nessuno se tutti sanno cantare ma non recitare, se una misteriosa lampada al plasma compare e scompare in dissolvenza senza un’apparente ragione, se in definitiva tutto sembra insensato e smaccatamente kitsch: era proprio quello che volevamo.

Per i più coraggiosi tra quelli che non hanno visto il film e vorrebbero farsi un’idea più precisa, allego il video-clip di un brano che raccoglie alcuni punti di forza di questo film (la salopette a vita alta con frange di Prince, la tutina mono-gamba di Sheila E., tantissime paillettes, luci, fumo e una canzone tremendamente anni ’80 che invita a ballare sull’orlo del precipizio).

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