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Atteso e chiacchierato, è arrivato pure il remake di Suspiria che vede dietro la macchina da presa Luca Guadagnino. Ma trattasi davvero di remake? Femminilità, femminismo, estetica mai così distante dall’etica (o forse no); il trionfo visivo del regista italiano analizzato da tre recensioni veramente ispirate (e contrastanti, come piace a noi) di Margherita, Carlotta ed Elena.

Suspiria – visto da Margherita Fontana

Nonostante la cura maniacale per i dettagli, la regia ad incastro, la fotografia spaziale, l’horror che fa paura, la stratificazione tematica (psicoanalisi, femminismo, storia contemporanea), secondo il mio modesto parere, Suspiria non funziona. E lo so che la regia è strabiliante, che la fotografia pure, però come giustamente ha detto Dario Argento, “Guadagnino fa bei tavoli, belle tende, bei piatti, tutto bello…”. E purtroppo certe cose non sono adatte ad un catalogo IKEA: avrebbero diritto ad una sceneggiatura come si deve, non ad accenni sommari. Trovo irritante soprattutto le letture femministe del film: se è così che oggi si fa un film politico, accatastando riferimenti a casaccio, allora siamo messi male. Suspiria “balla” sopra alla politica, non fa politica. Non basta la perfezione visiva per rendere lo spessore concettuale di questioni quali il potere del corpo femminile, la nevrosi, l’isterismo (delle donne e della storia). La politica è un’altra cosa (e forse anche l’horror).

Suspiria – visto da Carlotta Magistris

Sfruttando furbescamente le logiche di mercato e la comunicazione favorevole che un remake di una pietra miliare del cinema horror italiano può creare intorno a sé, Luca Guadagnino ci pone poi di fronte a quello che è un film vergine, appoggiandosi vagamente alla sceneggiatura originale di Dario Argento e della compagna Daria Nicolodi della quale rimane molto poco. Un’ode al corpo, quello femminile, desessualizzato pur nel suo trasparire come erotico e che assume un linguaggio proprio, quello dell’amore e della violenza, contorti in un’estasi misterica che viene espiata attraverso la danza, dove trova il suo culmine in Volk, una coreografia tutta sospiri e movimenti bruschi e violenti che sembra racchiudere in sé quella forza demoniaca e mortifera che fa da sottofondo all’intera pellicola. Quello che ne esce è una pellicola con qualche sbavatura (una evitabile presenza di uno psicanalista caricaturale ai margini della storia), un finale personale che si distacca dal proprio modello, una rara visione femminile (e non femminista) e una forte autonomia autoriale.

Suspiria – visto da Elena Saltarelli

Luca Guadagnino, balzato agli onori delle cronache per il malinconico affresco di “Chiamami con il tuo nome” ha deciso di cimentarsi in un’opera pressoché opposta: prendere il capolavoro di Dario Argento e realizzarne un remake, che in realtà remake non è.
Al di là di qualche inquadratura-omaggio, di qualche frammento vitreo posto qua e là che si infila nel ricordo dello spettatore consapevole, la creatura a cui Guadagnino ha dato vita si può dire pressoché originale, nella comprensione ormai accettata che nulla nel panorama culturale e visivo mondiale è più totalmente “nuovo”.
Un’opera complessa, fortemente estetizzante, in cui la paura si subordina al ritmo, all’estetica che vuole prevalere su tutto, su tutti: sull’intreccio argentiano, sulla sub-narrazione politica che più che ideologica è geografica (la Berlino del ’77 non si può vivere senza la sua componente politica, presente in ogni muro, in ogni viso, in ogni foto), sulla capacità recitativa del cast, purché incredibilmente adatto.
La paura che mi aspettavo di provare si esprime nella musicalità a volte delirante della regia: momenti lunghi, lunghissimi, intervallati senza ragione apparente da momenti estremamente irti, densi e concentrati, in cui la visione viene regolata da questo horror vacui di suoni e immagini che fanno paura senza farti vedere né capire pressoché nulla. L’unico contenuto che riesce a trasparire da questo concerto barocco è quello della liaison tra le donne protagoniste: una interrelazione di abuso, sopruso, forte di una sorta di femminismo insurrezionale.
“Tremate, le streghe son tornate” direbbe qualcuno. E sono bellissime, più che mai.

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