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a cura di Yorgos Kostianis

“Che cosa è nata prima: la musica o la sofferenza?”: è questa la nodosa domanda retorica posta da Rob Fleming come frase d’abbordaggio nel mio libro preferito di Nick Hornby, Alta Fedeltà.
Ora, se mi consentite di parafrasare questa domanda intricata ai fini di quest’articolo: Che cosa è nata prima: la musica o la colonna sonora?

Durante l’era del cinema muto (1894-1929), non c’erano suoni registrati e sincronizzati nei film e i dialoghi apparivano in brevi titoli tra un frame e l’altro. Al fine di colmare questa assenza di suoni, orchestre dal vivo oppure pianisti eseguivano dei brani melodici durante la proiezione.
La musica dal vivo è stata fornita per due motivi: in primis, per mascherare il rumore fastidioso prodotto dai proiettori e, in secundis, per dare un senso di realtà al pubblico. Pertanto, l’esperienza visiva non era più semplicemente bidimensionale e lo spettatore poteva immergersi nell’azione creata dalla fusione tra immagini e suoni.
Nel 1930, con l’avvento dei “talkies” (trad. film sonori) gli accompagnamenti musicali, sotto forma di pianisti e orchestre, hanno iniziato lentamente a scemare. Tuttavia, questo ha dato il via alla produzione di spartiti musicali originali. I compositori di film potevano ora creare musica specifica da utilizzare durante le proiezioni. Così nel 1933 fu composta la prima colonna sonora completamente originale da Max Steiner, per il film classico “King Kong”.
L’abbreviazione OST (Original SoundTrack) si è affermata nella coscienza collettiva negli anni ’40, con l’emergere dei cosiddetti “soundtrack albums” concepiti inizialmente dalle società cinematografiche come espedienti promozionali.
Al giorno di oggi, le colonne sonore costituiscono una parte integrante della cinematografia che può decidere le sorti di un film e, in alcuni casi, possono essere elevate a forme d’arte separate e iconiche che sopravvivono al film stesso.
Essendo un appassionato e amante di colonne sonore, mi è stato affidato il delizioso compito di dedicare questo segmento del nostro blog a questo aspetto filmico, spesso trascurato, ripercorrendo le colonne sonore che mi hanno accompagnato attraverso la mia educazione cinematografica.
Detto ciò, scegliere la soundtrack di lancio di questo segmento non era certamente un compito facile. La prima OST che ho acquistato e nel cui mi sono immerso è stato, probabilmente, quello di Yann Tiersen per Le Fabuleux Destin d’Amélie Poulain (2001). Eppure, per quanto possa essere iconico e supremo, risulta difficile scrivere qualcosa che non è già stato detto a riguardo. Così, ho deciso di far luce su una gemma relativamente oscura ma splendente: la trilogia di vendetta di Park Chan-wook.

Sympathy per Mr. Vengeance (2002), Oldboy (2003) e Lady Vengeance (2005). Ancora oggi, quando mi pongono l’intimorente domanda “Qual è il tuo film preferito?” quei film rimangono le mie risposte istantanee.
Visti per la prima volta in età piuttosto giovane, sarebbe difficile per me descrivere l’impatto maestoso che hanno avuto su di me; e mentre non sono del tutto certo che avrebbero lo stesso impatto oggi, sono sicuro che non dimenticherò mai le malinconiche armonie delle loro soundtrack.
Mi concentrerò sugli ultimi due film della trilogia, a partire da Oldboy. Il film segue la storia di Oh Dae-Su, un padre delinquente che viene repentinamente rapito e imprigionato nella stanza di un albergo per 15 anni. Quando è finalmente liberato, si ritrova intrappolato nelle diaboliche macchinazioni del suo enigmatico rapitore, che è ostinato a punirlo per i peccati del suo passato.

Con questa versione moderna e magistrale di Edipo Re, Park Chan-wook ha regalato un posto al sole al cinema coreano vincendo il Grand Prix al Festival di Cannes nel 2004. Uno dei componenti che ha contribuito maggiormente all’unicità del film è, senza dubbio, la sua musica semplicemente divina. Un’eccellenza tale da non sfuggire al buon occhio del regista Nicolas Winding Refn (Drive, The Neon Demon) che ha recentemente prodotto la ristampa della colonna sonora in vinile e ha supervisionato l’elaborazione della copertina e della confezione. Qui il preview della ristampa in vinile.

Al fine di definire l’umore idiosincratico del suo film, Chan-wook Park ha unito le forze con il compositore Yeong-wook Jo e insieme hanno creato un sublime spettro musicale che varia da composizioni classiche eseguite magistralmente da un’orchestra, a elettrizzanti brani downtempo.
Fin dall’inizio, la colonna sonora del film permea la sequenza del titolo con l’adrenalinico “Look who’s talking” che si fonde perfettamente con la scena di apertura in media res.
Gli acuti cinefili noteranno pure che quasi tutti i titoli delle canzoni prendono il nome da alcuni dei film preferiti di Park e Jo, principalmente classici film noir come “Cul-de-sac” di Polanski, “In a Lonely Place” di Nicholas Ray, “Out of the Past” di Jacques Tourner, “Kiss Me Deadly” di Robert Aldrich e così via. Questa scaltra selezione di titoli non è solo un rispettoso richiamo alle influenze del regista, ma è anche profondamente evocativa dei temi del film con titoli come pezzi mancanti di un puzzle che cadono al loro posto.

Gli inconfondibili fiori all’occhiello della colonna sonora però sono lasciati per ultimi; entrambi parti essenziali della trama del film che iniziano con brevi, ma commoventi, citazioni.
In primo luogo, il maestoso “Farewell, My Lovely” che si apre con le ultime parole agghiaccianti della sorella dell’antagonista prima della sua prematura scomparsa: “Ricordati di me“, mentre il suo crescendo di chiusura è bruscamente interrotto da un assordante colpo di pistola seguito da un inquietante mormorio del pezzo da Woo-jin stesso.

Ultimo, ma certamente non meno importante, al numero 24: “The Last Waltz“, un valzer agrodolce composto per catturare la catarsi del film, o piuttosto la mancanza di essa, durante la scena finale, preluso dalla dolce voce di Mi-do che sussurra “Ti amo, Oh Dae-su“. Questa funge anche da ultima frase del film, speranzosa e sconfortante allo stesso tempo, proprio come Oldboy.

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