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Che lo si odi o lo si ami alla follia, Gaspar Noè lascia raramente indifferenti. Anche noi siamo cascati nella sua rete e abbiamo guardato con avidità CLIMAX, la sua ultima fatica. Inserito in un filone horror-estetizzante come Suspiria di Guadagnino, il viaggio/incubo del regista franco-argentino non è sfuggito alle penne di Sofia e Carlotta.

CLIMAX – visto da Sofia Brugali

Il nuovo film di Gaspar Noè non merita una recensione canonica, ma un commento sperimentale, frammentato. Lo spettatore deve essere cosciente di ciò che lo aspetta, deve vivere lo spettacolo con la giusta attitudine, ovvero un’incredibile voglia di ballare e abbandonarsi alla musica, al piacere e alla paura. Poiché lo attende un’intensa orgia audiovisiva, che si trasformerà gradualmente e senza pietà in un bad trip. La musica ipnotica e martellante si fonde sensualmente ad una fotografia allucinata e allucinante, in un ossimoro che si evolve in direzione dei limiti più selvaggi e spietati della psiche umana. Il ballo – primordiale necessità di redenzione e libertà, strumento di catarsi – diviene un atto carnale e disperato, un grido di aiuto, un tentativo di esorcizzare la morte nell’eccesso di vita. Hardcore e decadente, Climax è un’esperienza che, nel bene o nel male, non vi lascerà indifferenti. E se ancora non siete convinti, ricordate di dare un’occhiata alla colonna sonora!

CLIMAX – visto da Carlotta Magistris

Cupamente a cavallo fra quello che si definisce un junk movie e una sorta di musical sui generis, Gaspar Noè, una delle cose cinematografiche meno incasellabili e più autoriali che succedono nel cinema di oggi, gira un film che non è nessuna delle due cose. Musica elettronica sensazionale di nomi (ben evidenziati nei titoli che appaiono a metà film) che suonano come Daft Punk accostati alle “Trois Gymnopedies” di Erik Satie e un cast composto unicamente di ballerini dei quali, ad eccezione di Sofia Boutella, nessuno ha avuto prima a che fare con il cinema, danno vita ad un bad trip lisergico denso di un’estetica pop di richiamo anni 90, dove il film, tratto – estremamente – liberamente da una storia vera è contestualizzato. Un cinema viscerale, di immagini, targettizzato su un pubblico già innamorato del proprio sovversivo creatore ma anche su chi dal cinema ricerca una fruizione estetica e sensuale a 360 gradi. Nella discesa negli inferi a più riprese di un’esperienza droghereccia andata male, con un finale a sorpresa che ne enfatizza la “banalità”, Noè sembra disegnare i contorni della metafora di un mosaico umano più ampio, dove i demoni di ogni coscienza individuale rendono impossibile una convivenza equilibrata all’interno di una società e socialità più o meno imposta.