a cura di Margherita Fontana e Vanessa Mangiavacca
Elle offre uno spazio ad alcune opere brevi che aprano l’orizzonte sulla vita interiore di personaggi femminili. Non andiamo alla ricerca di definizioni nette, scivolose, e quanto mai inattuali, come quelle di femminilità, visione femminile, sguardo femminile. Etichette sfuggenti, che rischiano di limitare, invece di valorizzare le possibilità di espressione degli individui. Quello che ci sta cuore è l’esperienza intima, privata di alcune persone, donne e ragazze, e dei loro corpi, dei loro affetti e dei loro luoghi. Il genere, ce lo insegna il primo secolo di lotte e di pensiero femministi, è un costrutto culturale, non dipende da attributi essenziali di pertinenza delle donne e delle ragazze, che hanno imparato nel corso della loro vita ad essere tali all’interno della società in cui vivono.
Chi sceglie di avvicinarsi a questa tematica è costretto ad approcciarsi ad essa con prudenza, pensando più a quale effetto potrebbe suscitare invece di esplorarne gli aspetti più celati. Attraverso opere del cinema breve tratte da produzioni internazionali, Elle mostra alcune delle esperienze tratta dal “viaggio” che è diventare bambine, ragazze, donne. Ci auspichiamo che lo sguardo delle autrici delle opere selezionate fornisca una visione alternativa di molti stereotipi che inquinano il dibattito sulla questione femminile nell’Occidente post #MeToo.
I film selezionati
a cura di Margherita Fontana e Vanessa Mangiavacca
#21XOXO di Sine and Imge Ozbilge, Belgio, 2019
CARNE (FLESH) di Camila Kater, Brasile, 2019
END-O di Alice Seabright, UK, 2019
EVELYN di Nina Yuen, USA, 2019
EYES ON THE ROAD di Stefanie Kolk, Paesi Bassi, 2019
HOT DOG di Marleen Valien, Alma Buddecke, Germania, 2019
JUCK (THRUST) di Olivia Kastebring, Julia Gumpert, Ulrika Bandeira, Svezia, 2018
WHAT DO YOU KNOW ABOUT THE WATER AND THE MOON di Jian Luo, Cina, 2018
#21XOXO
Il femminismo non ha sempre messo al centro solo le donne, ma anzi si è da sempre distinto come un pensiero in grado di problematizzare i corpi di tutt*. Che cosa resta dei nostri involucri di carne, dell’attrazione sessuale, dei nostri rapporti d’amicizia e d’amore nell’epoca dei social media e del post-internet? Questa è la domanda che si pongono le le sorelle Özbilge, con #21XOXO, ardita corto di animazione sperimentale. Siamo di fronte ad un omaggio nichilista alla nostra contemporaneità, che vede la protagonista, una giovane donna che sembra abitare in un showroom dell’IKEA, sballottata, smontata e rimontata nel turbinio dei social network e delle dating apps. Chi guarda è trasportato in un viaggio psichedelico che strizza l’occhio a tanti trend visuali della rete, tra meme e vaporwave.
CARNE
My body is always in question.
Con il suo primo cortometraggio Camila Kater realizza un intelligente e curato affresco sul corpo femminile e il suo inevitabile evolversi. La regista utilizza il dispregiativo e diffuso paragone con la carne (da qui il titolo) per illustrare sapientemente e delicatamente gli stadi del corpo, ognuno dei quali corrisponde a una diversa modalità di cottura. L’opera si sviluppa in cinque capitoli che si susseguono in maniera diacronica: ognuno di esso racconta uno spaccato intimo e sincero, cinque esperienze personali che riflettono l’essere donna nella società odierna, tenendo in considerazione più elementi quali età, razza, orientamento sessuale, identità di genere, professione. Ciascuno è realizzato con una tecnica diversa (animazione, pittura, acquarello, stop motion, pellicola) in sincronia e armonia con la narrazione: differenti profili si fondono in una figura unica di donna per una denuncia all’oggettivazione del corpo femminile, purtroppo universale.
END-O
Jaq è all’ospedale per assistere la sorella, che sta per subire un’operazione di isterectomia. Entrambe sono affette da endometriosi. Jaq è una donna arrabbiata di ritorno da un appuntamento galante, che sembra essere stato sabotato proprio dalla sua endometriosi. Questa circostanza, dai risvolti tragicomici, offre l’opportunità per parlare con franchezza di questa patologia, lasciando anche spazio a qualche risata. End-O è infatti una commedia brillante che parla con franchezza di endometriosi, una malattia subdola e debilitante che colpisce una donna su dieci, spesso sottovalutata per la sua natura sfuggente e così legata alla fisiologia femminile: per ragioni che ancora nessuno sa spiegare, il tessuto dell’utero inizia a crescere fuori dalla sua sede naturale. In media, passano sette anni e mezzo prima che una donna riceva una diagnosi corretta. Lungi dall’essere un prodotto didascalico ed educativo, il corto ha il pregio di squarciare il velo di omertà che circonda questo diffusissimo problema femminile.
EVELYN
Evelyn è un racconto intimista delle radici genealogiche dell’autrice, che esegue un’inversione di genere della tradizione maschile dell’esploratore. Nel compiere questa operazione, la regista Nina Yuen sembra indossare lei stessa i panni dell’esploratrice per indagare il potenziale radicale della fragilità e delle forme arrotondate. A farsi strada è l’idea, disturbante per una realtà patriarcale, che il capovolgimento non solo apra nuove possibilità, ma non sia affatto ironico.
EYES ON THE ROAD
Su una macchina disordinata, specchio di tumulti, caos e angosce personali, tre ragazze poco più che ventenni sono di ritorno da un festival. Con Eyes on the road Stefanie Kolk è riuscita a creare una micro realtà di facile identificazione e buona parte del merito è da attribuire alla recitazione delle sue protagoniste: le immagini seguono passo a passo espressioni e gesti, lontane da intenti voyeuristici. Aderente a quel semplice quotidiano costellato da emozioni fugaci e incertezze, la regista olandese introduce senza irruenza un argomento tanto delicato quanto difficile da gestire da quelle tre personalità, così diverse ma così intime tra loro: lo stupro. Eyes on the road è prima di tutto un film sull’amicizia, capace di celebrare con una naturalezza rara, la forza, la complicità e l’empatia dei legami femminili.
HOT DOG
L’hot dog, simbolo per eccellenza del fallo maschile, viene preso in prestito per una fugace lezione di anatomia sull’apparato femminile. Nota fresca e pop, questo cortometraggio è una lettera aperta all’organo femminile, un monologo interiore in cui vengono ripercorse in maniera ironica e schietta le vicissitudine sessuali e intime della giovane protagonista, offrendo contemporaneamente una considerazione su come siamo circondati da elementi e oggetti che ci riconducono costantemente al sesso e le sue parti, senza conoscerle davvero. Una riflessione senza pretese sulla vagina, questa sconosciuta, grande rompicapo e fonte di illimitata gioia.
JUCK
Con Juck le e registe svedesi Olivia Kastebring (Silvana, 2017), Ulrika Bandeira e Julia Gumpert realizzano un documentario ritmato, al confine con il videoclip, i cui tempi sono marcati e scanditi da ralenti e furiosi movimenti pelvici. Il bacino della donna, simbolo di fecondità e procreazione, diviene uno strumento per richiamare attenzione, generatore di una provocatoria energia che invade gli spazi pubblici; la danza, intesa qui come rito collettivo, primitivo e complice, risulta atto di redenzione mentale, fisica, corporale. Gli elementi maschili, gli zigomi alti, pronunciati, la cravatta, il kilt, vengono sdoganati in nome di una libertà che oltrepassa le simbologie di genere, invitando ad una nuova immagine di femminilità che, priva di condizionamenti e riferimenti, sia pura espressione della propria volontà interiore.
WHAT DO YOU KNOW ABOUT THE WATER AND THE MOON
Una giovane ragazza si sottopone ad aborto farmacologico: invece di espellere il feto, si ritrova con una piccola e gelatinosa medusa bianca, che, fluttuante in un vaso dalle forme sinuose, l’accompagnerà in un silenzioso viaggio attraverso una metropoli cinese. Presentato nel 2019 a Clermont Ferrand, il corto della giovane regista cinese Jian Luo è un apologo metaforico, delicato e struggente che racconta, per usare le parole della stessa regista, “una paura indicibile non rivolta a nessuno in particolare, ma radicata in una corrente sotterranea di stampo sociale”. Si tratta dell’inquietudine che le donne sperimentano nel corso della loro vita quando vivono in società patriarcali.
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