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a cura di Claudia Praolini

FOCUS SUPERNATURE

Attraverso i focus tematici, il Festival si propone di indagare di volta in volta fenomeni ed aspetti della realtà attuale che rappresentano lo specchio dei desideri e delle contraddizioni che insieme formano la complessità della natura umana. All’interno di questa direttrice non poteva mancare quest’anno una ricerca sulla relazione tra l’uomo e la natura attraverso la proposta di una serie di cortometraggi che analizzino questa relazione articolata, anche considerando che oggi l’aspetto primario di questo rapporto si condensa sull’utilizzo sfrenato delle risorse e sulla rottura di un equilibrio globale di cui si registrano i pesanti effetti già da molti anni.
Il pianeta è in pericolo a causa delle modifiche apportate dall’uomo, che ormai ha modificato il 77% delle terre emerse, spesso smembrando la natura per fare spazio a complessi residenziali, industriali o commerciali, ma anche per fare spazio ad allevamenti di bestiame e attività agricole. Solo il 23% dei territori mondiali sono ancora integri, ed a preoccupare gli esperti è il trend in crescita esponenziale: dal 1990 ad oggi l’uomo ha devastato 3,3 milioni di kmq di territorio. Il territorio mondiale etichettato come “wilderness” – definizione di “natura selvaggia” – ovvero quelle aree dove attualmente non si registrano attività umane invasive, agricoltura compresa, sono in costante diminuzione, ormai rappresentano solo il 23% del pianeta.

 

I film selezionati 

a cura di Claudia Praolini

Winter in the rain forest, Anu-Laura Tuttelberg, Estonia, 2018
Udahnut Zivot, Thomas Johnson, Ivana Bošnjak, Croatia, 2019
Eli, Nate Milton, USA, 2019
California on fire, Jeff Frost, USA, 2019
Little lower than the angels, Art Collective Neozoon, Germany, 2019
Cracking sound, Kaihlanen Hanna, Finland, 2019
The fourfold, Telengut Alisi, Canada, 2020
The Sasha, Maria Molina Peirò, 2019, The Netherlands

WINTER IN THE RAIN FOREST – visto da Vanessa Mangiavacca

Anu-Laura Tuttlberg ha saputo creare, letteralmente con le proprie mani, una giungla personale abitata da surreali creature di porcellana, sinonimo di fragilità di un intero ecosistema. Fulgida e scintillante, perfetta in ogni sua anatomica curva: un’onirica fauna guadagna il proprio immacolato spazio, all’interno del quale giochi di luce e sinfonie scandiscono il passare del tempo. In questa breve opera, girata in 16mm e animata in stop motion, è racchiusa la limpida e sensibile visione della sua realizzatrice: ne emerge una danza con la natura alla quale lo stesso uomo è invitato delicatamente a partecipare.

UDAHNUT ZIVOT – visto da Vanessa Mangiavacca

Questa animazione croata racconta, tra atmosfere cupe, evocative, di rara sensibilità, il legame tra uomo e natura attraverso la pratica della tassidermia: essa assume in questo caso una duplice e nuova funzione, che mira non solo alla conservazione fisica del corpo dell’animale ma anche a quella delle sue memorie visive, flash casuali, commistioni di luci e colori altrimenti impensabili. Di questi ricordi e vite imbevute (Imbued Life) l’uomo si serve nuovamente come prova del proprio talento artistico: ma c’è qualcosa di più nel fare della protagonista, nel suo impagliare gli esseri della foresta e restituirli al proprio habitat, così morti, così vivi.
Si instaura così un’inspiegabile connessione tra la natura stessa e colei che si fa garante e protettrice del ricordo di quelle creature. Dietro alle tinte scure ed evocative dell’universo di Svankmajer si cela un racconto malinconico di molteplici letture e incredibile perfezione stilistica e strutturale.

ELI – visto da Sofia Brugali

I feel things more than most people.

Due versioni della stessa storia, quella di Eli e quella del dottor Harper: è una ciste benigna a provocare i disturbi di sonno del protagonista, o si tratta di un frammento di meteora che un procione gli ha messo nell’orecchio? È un tintinnio quello che sente, o è piuttosto la frequenza di vibrazione dell’universo?
Nel suo ultimo progetto animato, Nate Milton rielabora alcuni episodi del proprio passato alla luce della diagnosi di disturbo bipolare, affrontando il tema della malattia mentale in modo del tutto originale. Realtà interna ed esterna, elementi fantascientifici e più verosimili vengono armonizzati durante il processo di scoperta di un nuovo sè, un percorso intimo che viene esaltato dal tratto caratteristico di Milton e universalizzato dalla scelta musicale.
Nonostante la trama possa apparire confusa, proprio perché frutto di una personale necessità di capirsi (e non di farsi capire), il cortometraggio presenta una forte componente empatica. Lo spettatore è stimolato a sentire la verità della storia, anziché comprenderla razionalmente.

CALIFORNIA ON FIRE – visto da Vanessa Mangiavacca

Ogni anno a causa dei wildfires, incalcolabili ettari di foresta californiana scompaiono, rendendo quel versante della costa occidentale americana un angolo di inferno terrestre: tra le cause di questo fenomeno oltre al cambiamento climatico è da considerare l’improprio e sconsiderato intervento dell’uomo (abitazioni che invadono lo spazio naturale insieme a cumuli di materiale infiammabile). Jeff Frost racconta questo fenomeno con il solo potere dell’immagine, ritratto crudo della realtà: venti minuti di centinaia di foto in time-lapse ritraggono quelle fiamme incontrollabili e il vano tentativo di domarle. L’opera non segue una narrazione precisa ma si sviluppa in diversi capitoli, corrispondenti alle cinque fasi del lutto: diniego, rabbia, negoziazione, depressione e accettazione. Non c’è alcuna lezione morale se non la prova evidente del crimine che l’uomo sta commettendo. Il suono gioca un ruolo fondamentale insieme a quelle immagini così vivide, in una malinconica poesia visiva dell’orrore. Predomina sullo sfondo un forte senso di colpevolezza e impotenza, presto sepolto sotto un velo di fuliggine.

LITTLE LOWER THAN THE ANGELS – visto da Vanessa Mangiavacca

Da dove veniamo, nonostante le conferme della scienza, continua ad essere una domanda che attanaglia insistentemente buona parte della cultura occidentale. Ad oggi, il 42 per cento degli americani crede nel creazionismo: concezione paradossale in cui è la scienza stessa a divenire opinione e supposizione a favore dell’idea di un divino “disegno intelligente”. Attraverso la pratica del found footage, da loro spesso impiegata, il collettivo Neozoon smaschera abilmente le contraddizioni di questo credo, attraverso un’acuta correlazione di video, immagini e parole prese da YouTube.

Difficile immaginare per quante volte ancora l’uomo si servirà della religione per soddisfare il proprio antropocentrismo e giustificare l’incontrollata ed egoista supremazia che esercita verso il regno animale, la natura e l’intera Terra.

CRACKING SOUND – visto da Sofia Brugali

Quello di Hanna Kaihlanen è un documentario sperimentale composto di riprese amatoriali, frammentate.
Si alternano le immagini di un boscaiolo, un cacciatore e un gruppo di storm chaser, sottilmente uniti dalla tecnologia che media tra essi e l’ambiente. Macchine taglialegna, fucili, barometri: sono strumenti di sfruttamento, distruzione, misurazione, che allontanano l’uomo dalla proprie responsabilità, lo elevano a padrone. Eppure, seguendo la rotta verso l’imminente uragano, non si può evitare di percepire la crescente eccitazione dei “cacciatori di tempeste”, l’adrenalina che nasce dal puro apprezzamento per la potenza naturale, per il romantico Sublime. Il rombo del tuono è il culmine di questo climax d’aspettativa: la natura ha parlato, la minaccia dell’Apocalisse è rinnovata.
Un cortometraggio verticale il cui sguardo va dalla terra al cielo, dalle frammentarie attività umane a quella onnicomprensiva della natura.

THE FOURFOLD – visto da Sofia Brugali

È una breve esperienza mistica quella creata dal cortometraggio di Alisi Telengut, che celebra le proprie radici mescolando la spiritualità tradizionale alla propria libertà artistica. Fotogramma per fotogramma, lo spettatore percepisce il mondo così come viene interpretato dai culti animisti e dai rituali sciamanici della Mongolia e della Siberia: non un concetto statico come quello tutto occidentale di “ambiente”, ma una natura viva, in movimento, celebrata in quanto casa e adorata in quanto divinità. Espressione di questa vitalità sono i colori che plasmano, distruggono e poi ricreano, in un perpetuo moto creativo che sfuma i confini tra soggetto e oggetto, caratterizza e unisce ogni cosa; un movimento che supera i limiti tra immagine e suono e trova nelle voci degli Huun Huur Tu insieme al coro Angelite una fondazione naturale.

THE SASHA – visto da Sofia Brugali

In alcune culture dell’Africa centrale, esiste un luogo della permanenza dopo la morte, dove dimorano gli spiriti – nè vivi, ne morti – di coloro che sono ricordati dai viventi: i Sasha. Da questa premessa si sviluppa il cortometraggio di María Molina Peiró, un’indagine sperimentale che riflette sulla volontà umana di rimanere, di superare i propri limiti spazio-temporali. Questo sentimento comune viene esemplificato nella figura di Charles Duke, che nel 1972 divenne il più giovane astronauta ad aver camminato sulla Luna, come membro dell’Apollo 16. Le sue fotografie scorrono sempre più velocemente sotto gli occhi dello spettatore, a mano a mano che la narrazione si avvicina al presente, l’era della velocità. Mentre la vita reale diviene sempre più frenetica, un nuovo mondo vede i propri albori: il cyberspazio, un cosmo in espansione la cui Luna è cristallizzata nelle fotografie di Duke; un universo di Sasha slegato dall’insicurezza intrinseca alla condizione umana.

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