recensioni a cura di Irene Pagano
SHORTer – Emilia Romagna Film Festival Net è un network di operatori culturali, impegnati nella promozione cinematografica ed audiovisiva della Regione Emilia-Romagna. Nelle intenzioni dei festival fondatori (Concorto Film Festival, Reggio Film Festival, Ravenna Nightmare Film Fest, Sedicicorto Forlì International Film Festival e YoungAbout Film Festival), SHORTer guarda alla prolifica produzione di cortometraggi in Regione per promuovere le opere, gli autori e le produzioni regionali, senza preclusione di genere, categoria o formato.
Al momento il network è composto dai seguenti festival: Amarcort (Rimini); Animare Cartoon Film Festival (Forlì); Ce l’ho Corto (Bologna); Concorto (Pontenure, PC); Iranfest (Forlì); Malatesta (Cesena, FC); Mente Locale (Valsamoggia, BO); Nightmare (Ravenna); Not Film Fest (Santarcangelo, RN); Porretta Cinema (Porretta Terme, BO); Reggio Film Festival (Reggio Emilia); Sedicicorto (Forlì, FC); Young About (Bologna); Visioni Fantastiche (Ravenna); Visioni Italiane (Bologna).
GOLDer Short
GOLDer Short è un riconoscimento che viene assegnato da SHORTer ai 5 migliori cortometraggi dell’Emilia Romagna prodotti nell’anno 2020. I membri del network hanno preso in considerazione tutti i corti prodotti da autori residenti in Emilia-Romagna, o di origine emiliano-romagnola e selezionato una rosa di 37 titoli. Successivamente, sono stati nominati cinque corti, vincitori del premio GOLDer.
Proietteremo quattro cortometraggi vincitori del premio GOLDer assegnato dal network.
I film selezionati
Ape Regina | Nicola Sorcinelli | 13′
Gas Station | Olga Torrico | 9’42”
Giusto il tempo per una sigaretta | Valentina Casadei | 15′
La città delle cose dimenticate | Francesco Filippi, Massimiliano Frezzato | 17’30”
Recensioni a cura di Irene Pagano
APE REGINA
Quando si narrano storie di contatto e comunione tra vite e persone diverse, può essere molto difficile non trasformare questa interazione in un esempio. “Ape Regina”, scritto da Alessandro Padovani e diretto da Nicola Sorcinelli, evita l’eccessiva semplificazione con cura ed eleganza.
Asim è un immigrato, inseguito dalla polizia e determinato a viaggiare a piedi verso la Finlandia. Elsa è una vedova scontrosa e volitiva il cui lavoro di apicoltrice in un angolo isolato della campagna italiana diventa sempre più difficile dopo la scomparsa del suo amato marito e dell’ape regina del loro alveare. Nel momento in cui Elsa accoglie Amin nella sua casa e gli offre un rifugio, ciò a cui assistiamo non è l’atto generoso di un salvatore, ma il miracolo del riconoscersi tra individui che rifiutano entrambi di marciare al ritmo del tamburo altrui. Non sanno quasi nulla l’uno dell’altro, non imparano mai a parlare la reciproca lingua. Invece, trovano forza e soddisfazione nella propria differenza. Allo spettatore non viene mai fatto credere che Elsa e Amin abbiano una funzione specifica l’uno nella vita dell’altro: il loro incontro non li salva né li illumina. Non è altro che un impatto tra due esistenze, tra i loro propri e delineati tipi di “alterità”.
Mentre Elsa corre nei campi in solitudine, appare risoluta, potente e appagata. Nè lei nè Amin hanno mai avuto bisogno di un alveare per essere completi.
GAS STATION
Per qualche motivo, gli esseri umani vengono spesso affascinati dagli spazi liminali. Essi sono quel tipo di luoghi che si interpongono tra punti di partenza e destinazioni. Gli attimi che vi trascorriamo sono affrettati e trascurabili, eppure sembrano talvolta prolungarsi all’infinito. Rappresentano una soglia superata la quale potrebbe non esserci più consentita un’inversione di rotta. Nella vita di ogni giorno, ci troviamo ad attraversare un numero incommensurabile di spazi liminali: sale d’attesa, corridoi, ascensori, stazioni di servizio. Nella maggior parte dei casi non vi prestiamo attenzione, ma ogni tanto un senso di angoscia e incertezza potrebbe impossessarsi di noi mentre ci passiamo attraverso. Allora, ciò che ci domandiamo è: fa più paura uscire allo scoperto e camminare verso l’ignoto o restare incastrati sul bordo che lo precede, liberi da quel grado di responsabilità che la libertà di scelta inevitabilmente implica?
Nel suo corto di debutto “Gas Station”, Olga Torrico esplora questo conflitto rappresentando nei dettagli i pensieri, le emozioni e i ricordi sparpagliati di una giovane musicista paralizzata dall’ansia del fallimento. Attraverso l’utilizzo di filmati di archivio e stralci di monologo interiore alternati a sequenze quotidiane della protagonista che lavora e chiacchiera con un vecchio amico, Torrico ci permette di osservare le forme molto indefinite e molto familiari del cambiamento e della crescita, nonchè dell’inquietudine che portano con sé. Ci ricorda che dopo la paralisi può arrivare l’epifania e che dalle viscere del caos può nascere di nuovo la bellezza, se si ha il coraggio di sopportarla.
GIUSTO IL TEMPO PER UNA SIGARETTA
“Giusto il tempo per una sigaretta” di Valentina Casadei racconta la lotta quotidiana di Christian, un giovane operaio proveniente da una famiglia difficile. Tra il padre assente, la madre alcolizzata e negligente e gli estenuanti orari di lavoro, Christian deve pazientemente e continuamente combattere e aggrapparsi a quel poco di equilibrio e pace che riesce a conquistare sia per sé che per il fratellino Giulio, che ha appena cominciato a mettere in discussione il mondo che lo circonda e lo stile di vita della famiglia.
Mentre Christian si ritaglia un angolo di calma nel guazzabuglio infinito della sua vita, un breve momento in cui può fermarsi e semplicemente fumare una sigaretta per qualche minuto, vediamo come tutte quelle responsabilità che non dovrebbe essere costretto a sostenere non smettano mai di pesargli sul petto. Ma lui scapperebbe mai, non si lascerebbe mai andare, non si arrenderebbe mai. Anche se probabilmente sarebbe un impulso perfettamente naturale. Invece, Christian inspira e espira, sorride a suo fratello e va avanti. La prima battaglia della giornata è: riuscirà a portare Giulio a scuola e ad arrivare in orario a lavoro?
LA CITTÀ DELLE COSE DIMENTICATE
Un mondo popolato da scarti, frammenti randagi di vite altre, che procede per ritmi ciclici e interminabili di accumulo e disgregazione ripetuti di giorno in giorno con precisione poetica. Un custode instancabile che si concede una pausa dal lavoro giusto per quei pochi attimi necessari a contemplare il proprio passato, la sagoma sbiadita dell’identità che si è lasciato alle spalle. Infine, una domanda: se ogni notte la Luna affonda nel mare, le case cadono a pezzi e tutto viene divorato da una lumaca ingorda, a che scopo ricominciare a mettere ordine la mattina dopo? La risposta: per la bellezza intrinseca del prendersi cura delle cose.
Non sappiamo chi sia davvero il Merlo o cosa lo abbia portato ad approdare alla città di Sha. Non sappiamo da cosa fugge quando trascina via gli specchi per non incontrare il proprio riflesso sulla loro superficie. Nemmeno lui sembra ricordarselo più. Ciò che riusciamo a capire è ciò che anche il custode riconosce, la consapevolezza che lo guida e a cui si aggrappa: le cose dimenticate hanno bisogno di lui. Per quanto qualcosa possa decadere, diventare inutile e derelitta, non potrà mai smettere di beneficiare dell’amore e dell’accortezza con cui il Merlo la maneggia. Il potere dell’atto di cura risiede proprio nella sua mancanza di uno scopo ulteriore, nell’assenza di superflue apologie. È un cerchio chiuso di semplicità perfetta e il Merlo vi regna al centro come il Sisifo più felice mai immaginato.
“La Città Delle Cose Dimenticate” di Massimiliano Frezzato e Francesco Filippi è una storia della buonanotte a scorrimento orizzontale in cui la voce narrante sospinge lo spettatore con dolcezza inarrestabile attraverso i paesaggi deliziosamente onirici della città di Sha e la tenera, stralunata immaginazione del suo signore.
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