a cura di Yorgos Kostianis
Di tipi di colonne sonore ce ne sono tanti. In primo luogo ci sono quelle che definiscono un’era intera come quella di Nino Rota per Il Padrino oppure Star Wars di John Williams; ci sono anche i successoni tour-de-force come le composizioni di Hans Zimmer e Thomas Newman; e poi ci sono quelle poche speciali che toccano delle corde talmente intime che ti spezzano il cuore.
La realizzazione di una tale impresa interdisciplinare non è affatto un compito facile, e richiede una profonda conoscenza delle idiosincrasie della musica e del film. Questo è il caso singolare di Sofia Coppola.
Portando un cognome così imponente sulle spalle, sarebbe praticamente impossibile parlare di Sofia senza menzionare suo padre nonché regista leggendario, Francis Ford Coppola –un legame che non è sfuggito ai critici fin dall’inizio della sua carriera. Il suo debutto come attrice è stato inondato di frequenti accuse di nepotismo e recensioni negative. Sofia, tuttavia, ha continuato imperterrita, visto che, in realtà, non nutriva alcuna passione per una carriera di fronte all’obiettivo ma piuttosto per una dietro di esso.
Si è ritirata dai riflettori e si è concentrata sulla fotografia, sperimentando il costume e il fashion design. Inizialmente, si è cimentata con la regia dirigendo dei videoclip per band di musica indie venerate come The Flaming Lips, The Chemical Brothers e i Sonic Youth. Questi ultimi si sono poi rivelati assolutamente d’impatto nella sua vita, dato che sul set del loro videoclip “100%” ha incontrato il suo primo marito Spike Jonze (di cui parleremo possibilmente in un prossimo articolo), e poi ancora più essenziali per la sua carriera, visto che il loro frontman, Thurston Moore, le ha regalato il libro di Jeffrey Eugenides che ispirò il suo primo, e discutibilmente migliore, lungometraggio. Il libro si chiamava, “Il Giardino delle Vergini Suicide”.
Questo tetro ma onirico romanzo d’esordio di Eugenides, che racconta la storia di cinque sorelle adolescenti che nel corso di un anno decidono tutte di suicidarsi, ha toccato Coppola così profondamente da sentire l’impellente desiderio di adattarlo per il grande schermo. Nonostante fosse intimorita dal compito all’inizio, fino a oggi Coppola ammette di non essere sicura che avrebbe avuto una carriera se non fosse per quel libro. Le tematiche di languore adolescenziale e di lutto del libro hanno suscitato in lei una forte empatia, e iniettando in esse la sua spiccata estetica personale, rivestita di una contegnosa moda anni ‘70, ha partorito una visione tanto fiabesca e rosea quanto cupa.
Nel frattempo, però, si è anche resa conto che per conseguire il completamento della sua visione onirica, serviva nientemeno che una colonna sonora stellare. Dopo aver trascorso diversi anni della sua vita a Parigi e conoscendo bene la sua scena musicale, ha reclutato l’aiuto della dream pop band francese Air, che all’epoca aveva appena pubblicato il suo album di debutto Moon Safari (1998), e fu così che una collaborazione per i posteri prese piede.
Se dovessi descrivere a parole la brillante atmosfera di questa colonna sonora, direi che sa di un sogno delirante, un’analogia che ho poi scoperto essere sorprendentemente azzeccata. Quando il duo stava registrando la batteria e le tracce principali del film, Jean-Benoit Dunckel soffri di una terribile febbre per l’intera settimana di registrazione. Dunckel sostiene che durante questa fase febbricitante la sua capacità musicale fosse aumentata grazie ai suoi sensi acuiti e trova che questo suo stato d’animo sia stato inciso nelle sue composizioni nebulose.
Infatti, dopo aver letto il romanzo, il duo è stato così spiazzato dal suo squallore melodrammatico che ha deciso di ricoprire il film con delle musiche adeguatamente spettrali. Lasciando da parte il surplus di synth del loro materiale precedente, hanno implementato un assortimento di tastiere analogiche, ma incorporando anche strumenti rock tradizionali come la chitarra e il basso, creando così una colonna sonora che svela qualcosa anche sui suoi compositori. Il loro dolce Moog-noodling riflette i temi dell’angoscia adolescenziale, la disaffezione e il fascino della morte con i quali il film è alle prese ma che anche loro hanno personalmente affrontato, a loro modo.
Che ti piacciano o no i suoi film, la singolare estetica audiovisiva di Coppola, non si può negare. In molti hanno respinto i suoi film come decorativi e inconsistenti, eppure credo che sia proprio questa sua premura per la fatua vistosità che li fa splendere. Che sia l’effervescente Highschool Lover degli Air nel suddetto debutto alla regia, la smielata malinconia di Just like honey dei Jesus and Mary Chain durante la scena finale del magnetico e spaesante Lost in Translation (2003) o il modo in cui I’ll try anything once degli Strokes ti scalda il cuore in Somewhere (2010), la Coppola trova sempre il modo per elevare le colonne sonore dei suoi film a tali altezze atmosferiche che diventano parti indivisibili della sceneggiatura.
Sofia drappeggia con cura la musica dei suoi film in un equilibrio affinato tra malinconia e catarsi, sinistro e onirico, romanticismo e alterigia che si traduce in momenti cinematografici immediatamente riconoscibili e intramontabili.
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