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Testo e recensioni a cura di Claudia Praolini

UBIK è una rassegna di cinema breve dove le autrici e gli autori sperimentano nuovi sistemi di narrazione.

B – Pensavo che non mi avresti più chiamata.
J – Ho avuto degli intoppi…
B – Qui c’è troppa gente. Cerca di non guardare dalla mia parte, leggi il giornale e basta
J – Stai tranquilla. Dimmi della macchina, a che punto sono?
B – La macchina è pronta, solo una questione di ore.
J – Non ci credo, li ho lasciati un anno fa con ancora un bel po’ di casini da risolvere. Problemi di assorbimento eccessivo, di latenze…
B – Le latenze? Le hanno risolte già da un pezzo, le hanno risolte nel condensatore di Hong Kong e adesso la macchina è pronta.
J – Che ne dice Evans?
B – Evans dice che ve lo meritate, che non vede l’ora di schiacciare quel bottone.
J – Evans è un pazzo.
B – Pazzo o no, questa città tra qualche ora non esisterà più, perlomeno nel modo in cui la vediamo ora. E anche tu prima di stasera sarai morto o sarai qualcosa d’altro, una cosa qualsiasi, una cosa che non ha ancora un nome…
J – …
B – Cosa farai adesso?
J – Penso che ordinerò un Martini.
B – Addio
J – Addio

È possibile trasformare la realtà in immagine, i sogni in ricordi, l’incanto in rappresentazione? Non lo sappiamo con certezza ma se qualcuno, da qualche parte, volesse provarci, potrebbe iniziare da qui, scegliendo UBIK come luogo di partenza (e anche di arrivo) della sua ricerca, un ottimo sistema per testare il motore della propria macchina visiva.

I film selezionati

a cura di Claudia Praolini – Concorto Film Festival

CONDRONG di Gonçalo Almeida, UK, 2016
THE DOCKWORKER’S DREAM di Bill Morrison, Portogallo, 2016
ELLE, LA MAISON ET LE CHAT (She, the house and the cat) di Sofía Géldrez, Francia/Cile, 2017
FOR REAL THO di Baptist Penetticobra, Francia, 2016
KITTEN INSTINCT di Liesbeth Eeckman, Belgio, 2016
UPDATING DEATH di Carsten Aschmann, Germania/UK, 2017

CONDRONG – Gonçalo Almeida

Questo documentario breve è ambientato in Gambia. Nonostante ci si trovi in un luogo dove i colori del paesaggio sono vivacissimi, il regista Gonçalo Almeida per raccontare la sua storia sceglie un incisivo bianco e nero che ci immerge fin da subito in un’atmosfera inquietante. Si va alla ricerca di uno spirito mitologico, il Condrong, attraverso una serie di testimonianze che descrivono questo essere sulla base di incontri diretti ma il più delle volte in base a racconti tramandati. Cosa sia effettivamente il Condrong ci viene riassunto in una delle primissime inquadrature “Non è un essere umano e non è neanche un demone: è una creatura di Dio”. L’indagine ci conduce all’interno della parte più magica e misteriosa dell’Africa, quella relativa alla sua totale congiunzione con la Natura dalla quale derivano credenze ancora oggi totalmente presenti. Nonostante la popolazione gambiana sia per il 94% mussulmana e per il 5% cristiana, le grandi religioni non hanno minimamente scalfito la potenza di un universo mitologico fatto di spiriti e demoni che ancora oggi abitano le notti delle genti di questi luoghi.

THE DOCKWORKER’S DREAM – Bill Morrison

Bill Morrison, il regista di questo film/documento ha fatto del recupero di materiali d’archivio la fonte della sua ispirazione, realizzando nel corso degli anni una serie di cortometraggi caratterizzati da un sapiente montaggio di immagini unito a musiche dei più importanti compositori contemporanei. Per questo film Morrison si è avvalso delle musiche di Kurt Wagner (Lambchop) che a “The Dockworker’s Dream” presta il brano “The hustle” tratto dall’album Flotus; una sonorità ritmica, minimale e una voce colma di nostalgia che ben si adatta alle immagini che scorrono davanti a noi. Sono immagini che provengono interamente da materiali recuperati nella Cinemateca Portuguesa e ci mostrano uomini e donne intenti a lavorare, la loro gestualità antica, in un tempo ove le mani restavano lo strumento principe per la trasformazione del mondo. Le sequenze all’interno della fabbrica ci annunciano che questa epoca sta per finire definitivamente con nuove macchine e nuovi ritmi a scandire il tempo; e poi, ovunque, il mare (oppure è un fiume?) perché l’acqua, le navi e le vele rigonfie dal vento non possono mancare nel sogno di uno scaricatore di porto. Ma i sogni, si sa, vivono anche di bizzarre allusioni; nessuna sorpresa se all’improvviso compaiono le immagini di un panorama africano ed una zebra impaurita fugge dinnanzi alla nostra automobile, lanciata in una folle corsa nella savana.

ELLE, LA MAISON ET LE CHAT (She, the house and the cat) – Sofía Géldrez

Non vedremo mai la protagonista di questo cortometraggio che conosciamo attraverso la voce mentre narra la propria vita o quello che rimane di essa, in forma di diario. La camera ci segnala il suo sguardo che scorre attraverso le finestre, il giardino, le stanze della sua casa alla ricerca di un ultimo contatto con il mondo che le si presenta. Lei si chiama Valentina. Il bianco è il colore dominante di questo film, le sequenze iniziali e finali ci mostrano una casa vuota, è come un tempio abbandonato, il dio che l’abitava non è più qui. Guardiamo una casa livida nel suo biancore e noi non possiamo non pensare a ciò che c’era e non c’è più: i colori, gli oggetti, i ricordi, le voci. È un film che ci ricorda l’importanza delle relazioni umane, che ci mette di fronte al valore della nostra eredità, quella che noi stessi lasceremo al mondo. Se è vero, come ci dice Valentina che “l’amour est plus fort que la mort”, legittimi eredi saranno solo coloro che sapranno proteggere il nostro prezioso genio del luogo, gli altri rimarranno lontani, per sempre stranieri.

FOR REAL THO – Baptist Penetticobra

Quel gran burlone di Baptist Penetticobra, il giovanissimo regista di questo corto (il suo diploma in video e fotografia datato 2014) mostra di essersi già impossessato di tutti gli strumenti che sono necessari quando si intende realizzare un film che parla di cinema. Dev’essere un intenso amore/odio quello che lega Penetticobra alla settima arte perché sceglie di sfotterla senza pudore, e sfottendo il cinema sfotte sé stesso, tutti noi e un’intera generazione di post Millennials, la cosiddetta Z Generation. Non c’è nessuna soggezione nei confronti del mezzo, nessuna subordinazione, il Cinema viene spogliato di qualsivoglia paludata autorità e si riduce a registratore di immagini, diventa uno dei molteplici mezzi messi a disposizione dalla tecnologia per registrare nient’altro che la propria immagine. Il film scardina anche la nozione di prodotto meta-cinematografico perché qui non interessa affatto immergersi nel meccanismo della creazione visuale, interessa invece la messa in scena di una serie di personaggi che più di tutto sembrano interrogarsi sulla loro stessa esistenza
“You’re just watching pixels and pixels aren’t even real, or are they?”

KITTEN INSTINCT – Liesbeth Eeckman

La giovane animatrice belga Liesbeth Eeckman ci regala una storia collocata temporalmente nel cretaceo superiore e il cui protagonista è un Tirannosaurus Rex e la sua indecifrabile trasformazione. Il nostro protagonista trascorre le sue giornate adeguandosi alla routine che l’evoluzione gli ha destinato: l’agguato, la caccia alle prede piccole o grandi che siano, lo squartamento delle stesse, l’occultamento dei corpi all’interno della sua tana, il divorare vorace la preda, il sonno notturno. Tutto questo fino a quando un’entità potente e misteriosa fa il suo ingresso nella vita del nostro: un sinuoso gatto nero gli compare in sogno mostrandogli come in un atavico rito, i gesti imprescindibili che determinano la gattità e permettono di accedere ad un mondo permeato di saggezza e magia. Il Gattino è lontanissimo nello spazio e nel tempo e nulla può (e vuole) per salvare il Tirannosauro dal deserto, dalla siccità, dalla sconfitta. Come dicono le sacre feline scritture, solo all’approssimarsi della morte il potente Gattino si avvicinerà, ancora una volta (l’ultima) per accoccolarsi infine al suo fianco, trasformandosi in una ronfante e soffice palla di pelo mentre la Morte chiude dolcemente gli occhi del grande sauro. Una storia struggente e ironica che descrive un episodio di mistica dell’evoluzione.

UPDATING DEATH – Carsten Aschmann

Ci troviamo all’interno di una performance visiva spiazzante e vertiginosa. Il regista Carsten Aschmann costruisce un congegno cinematografico perfettamente calibrato per intrappolare al suo interno Philip Seymour Hoffman, Heath Ledger e Paul Walker. Le sequenze spezzate delle pellicole di cui furono protagonisti gli attori scandiscono il ritmo di questo marchingegno della celebrazione, che resta anzitutto una celebrazione della replica e della duplicazione, rese più vivide dalla morte, questa sì reale, dei protagonisti. Idoli delle folle in vita Hoffman, Ledger e Walker si trasformano da morti in giganteschi simulacri, golem rinchiusi in un dispositivo che non lascia scampo e che ci sottopone a una cura Ludovico per mostrarci, volenti o nolenti, il fiume della menzogna che scorre impetuoso sotto lo spessore (millimetrico) della pellicola. Il montaggio disegna interazioni tra i tre protagonisti, chiusi in questo claustrofobico limbo di celluloide ma nessuna indulgenza, nessuna empatia è possibile in questo mondo di spettri. È un film sul Cinema, è un film sulla morte.