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testo e recensioni di Vanessa Mangiavacca

Non è un caso che il cinema nasca e rinasca con l’osservazione dell’animale. Dagli albori dell’immagine in movimento e gli studi di Étienne Jules Marey al cinema scientifico e sperimentale delle origini, dal documentario fino alla grande Hollywood, dal cinema mainstream a quello d’autore: il modo in cui ogni epoca o genere cinematografico racconta l’animale è sinonimo delle trasformazioni del nostro sguardo e di come con fatica i nostri occhi stiano cercando di spogliarsi – spesso inevitabilmente fallendo! – di una certa dose di antropomorfismo.

Animal House torna quindi per il secondo anno consecutivo come curioso cannocchiale sulle modalità di coabitazione e interazione tra uomo e animale. Uno spazio tra noi e una Terra pullulante di esseri non-umani, siano essi parte della nostra fantasia, lessico, universo simbolico, emotivo oppure naturale, sociale, politico. Non uno zoo, ma piuttosto un piccolo e generoso bestiario che con una selezione di opere brevi coinvolge cani, gatti, uccelli, lupi e salamandre.
Animal House è così un mosaico di punti di vista sul presente, una suggestione per provare a comprendere gli animali entrando in profonda sintonia con loro pur non conoscendone il linguaggio. Ma anche un’occasione per rispettare l’unicità dell’Altro qualsiasi sia la sua specie, cultura, genere, classe o provenienza, dare immagine a nuove forme di comunità e diverse prospettive sul mondo.

I film selezionati 

a cura di Vanessa Mangiavacca

All Cats Are Grey In The Dark di Lasse Linder, CH, 2019
Dede is Dead 
di Philippe Kastner, CZ, 2023
Der Molvhkongress (The Newt Congress) 
di Immanuel Esser e Matthias Sahli, CH, 2022
Naya 
di Sebastian Mulder, NL, 2021
Nearest Neighbor 
di Rebecca Baron e Douglas Goodwin, US, 2023
SSRC 
di Yalda Afsah, IR, UK, 2022

Dede is Dead

Flush è una bellissima opera di Virginia Woolf: si tratta, molto semplicemente, della biografia di un cane. Scritto all’inizio degli anni Trenta, quando le biografie erano destinate ai grandi uomini – oggi ci sembrerebbe un’operazione del tutto normale –, la famosa scrittrice decide di dedicare poco più di cento pagine alla vita di un amato cocker spaniel. Con atteggiamento fresco e ironico, sin da subito il cane diventa il centro del nucleo familiare e della quotidianità e presto i suoi comportamenti vengono descritti come quelli di un qualsiasi lord inglese all’interno della società di inizio Novecento. Insomma, Flush ci dice (ma già lo sapevamo) che i cani sono da sempre l’animale da compagnia prediletto, con il quale spesso identificarsi, al pari di amici, fratelli o sorelle. Non vergogniamocene e ammettiamolo: anche Virginia Woolf ne ha scritto un libro.

In questa breve e favoleggiante animazione il giovanissimo regista Philippe Kastner racconta del legame con il suo fedelissimo cane scomparso. Premiato dalla Children’s Jury Generation Kplus alla Berlinale 2023, Dede is Dead non è un semplice cortometraggio per ragazzini, bensì uno splendido colpo al cuore e un caldo abbraccio verso gli animali domestici che non ci sono più e quelli che ci scodinzolano ancora attorno.

SSRC

Yalda Afsha ha purtroppo ancora bisogno di presentazioni: artista tedesco-iraniana, tutta la sua opera – una decina di cortometraggi – si focalizza sulle modalità di coabitazione, spesso segnate da addomesticamento e sottomissione, tra uomo e animale, soffermandosi ogni qualvolta su ritratti di comunità differenti e nei luoghi meno probabili del globo.

Già presente nel 2022 nella prima edizione di Animal House con Tourner (sullo svolgersi di una corrida nel sud della Francia), la sua poetica torna inevitabilmente anche quest’anno con il penultimo lavoro, SSRC, acronimo della Secret Society Roller Club di Compton, il sobborgo californiano noto per l’altissimo tasso di criminalità e con la pessima fama di essere il luogo di nascita delle prime gang. I membri del SSRC sono quasi tutti uomini di origine latina e afroamericana, e al suo interno regna una sorta di pace: la loro attenzione non è attratta da quanto accade per strada, ma dal volo dei cosiddetti roller pigeons, piccioni caratteristici per la capacità di eseguire capriole multiple nell’etere. Con il solito fare tassidermico, paziente ed osservativo, le riprese del cielo si alternano a quelle delle piccionaie, e infine sullo sguardo che gli uomini riservano ai volatili: in questo scambio, è facile intuire come la danza di questi particolari piccioni diventi per loro l’unico gesto di cura a cui dedicarsi per restare “fuori dai guai”.

Le opere di Yalda Afsha sono state inoltre al centro di una personale che le ha dedicato la galleria Kunstverein München nel 2022, dal titolo significativo Every word was once an animal.

The Newt Congress

Nel 1936 lo scrittore ceco Karel Čapek scrive un romanzo geniale che porta il titolo La guerra delle salamandre. Nel motivarne la genesi, specifica: ”Se una specie animale, diversa dall’uomo, potesse raggiungere qualcosa di nuovo simile a quanto noi chiamiamo civiltà, commetterebbe le stesse assurdità del genere umano? Cosa ne penserebbe dell’imperialismo dei sauri, del nazionalismo delle termiti, dell’espansionismo economico dei granchi e delle aringhe? Cosa diremo se una specie animale diversa dall’uomo dovesse proclamare che, visto il suo numero e la sua istruzione, essa avrebbe il diritto di occupare il mondo intero e di dominare la natura?”

Čapek, quasi un secolo fa, dà quindi  vita a un racconto – peccando di fantasia solo fino a un certo punto – che ha per protagoniste un gruppo di salamandre antropomorfe del sud est asiatico, dai tratti particolarmente umani. Da questa storia dai risvolti pungenti e satirici, che attinge inevitabilmente alla condizione storica e sociale dell’epoca, prendono ispirazione i due registi Matthias Sahli e Immanuel Esser per la realizzazione della loro fiction The Newt Congress. E proprio durante il congresso delle salamandre (non è più una guerra, ma non perchè la società si sia evoluta in meglio) una congrega di assopiti uomini bianchi apprende del pericolo a cui l’umanità sarà sottoposta a causa della possibile presa di terreno di questi grossi e stanchi anfibi, sfruttati sino ad ora come manodopera forzata. Fino a quando questa legge della sottomissione continuerà a perpetuarsi?

NAYA

Naya è il nome di una lupa proveniente dalla Germania dell’Est, che con un collare GPS ha attraversato boschi e campagne fino all’arrivo in Belgio: è da un secolo nel territorio belga non si vede tale animale. Il documentario di Sebastian Mulder segue il tragitto del mammifero attraverso un found footage di riprese di sorveglianza che consente di osservare da vicino la vita e i movimenti di tanti altri animali indisturbati – tra lepri, conigli e cervi – all’interno del loro habitat, e “i mille occhi” non sono più quelli della foresta, ma quelli degli umani, capaci ormai di controllare anche la natura. Naya diviene così il pretesto per portare in primo piano una tematica molto più complessa, ovvero le modalità di convivenza tra uomo e animale nelle società occidentale, già esplorata dal regista nel precedente Nature – All Right Reserved. Le immagini si sovrappongono ad altre registrazioni, quelle radiofoniche. e il tutto assume presto un carattere grottesco: nemmeno un animale feroce e temuto come il lupo vince il processo di umanizzazione e Naya diviene presto un pretesto quasi turistico e avventuriero, da scovare a tutti i costi.

Nearest Neighbor

Quante volte, da piccini, ci siamo imbattuti in un pappagallo o un merlo (in gabbia) e lo abbiamo invitato a ripetere la serie di parole imparate dal suo padrone o dai passanti di turno. A volte, immaginando i diversi cinguettii degli uccelli, mi chiedo se si capiscano almeno tra loro, o se funzioni come tra un francese e uno spagnolo e anche per loro sia sufficiente imparare la lingua dell’altro o studiarne una comune. Ecco, applicare le strutture del linguaggio umano a quelle del mondo animale si rivela un punto di partenza decisamente sbagliato per provare a comprendere le misteriose conversazioni del mondo vivente.

Il duo composto dalla regista e videoartista Rebecca Baron e da Douglas Goodwin,  tecnologo specializzato nello studio dei meccanismi con cui il linguaggio e le tecnologie mediano la nostra percezione della realtà, da vita con Nearest Neighbor a un video essay che ha per oggetto il linguaggio degli uccelli e il modo in cui l’intelligenza artificiale sia in grado di aiutarci nel decifrarlo. Sono tre le “voci” in campo: quelle degli uccelli, degli umani, e dell’AI. Questo insolito ménage à trois porterà inevitabilmente a risvolti comici e divertenti, e  pone delle considerazioni sull’uso della tecnologia come strumento per comprendere le sfumature del mondo.

ALL CATS ARE GREY IN THE DARK

All cats are grey (in the cave) cantavano i The Cure nel 1981, evocando atmosfere intime e solitarie, le stesse che scorgiamo in questa opera breve tedesca. All cats are grey in the dark è anche un diffusissimo modo di dire americano: al buio le apparenze, le caratteristiche fisiche ed esteriori non possono essere viste, quindi non contano. Partendo da questo intuitivo (ma per niente facile nella sua concreta applicazione) proverbio, il regista Lasse Linder ci pone, quasi senza accorgercene, un importante interrogativo: esiste, e se esiste qual è, il confine tra animale e uomo? Attraverso larghe e statiche inquadrature viene ritratta la vita di un uomo di mezz’età intento a creare un nuovo nucleo familiare insieme ai suoi due gatti grigi, Katiuscia e Marmelade. Ne affiora un toccante e profondo ritratto, la raffigurazione di un amore incondizionato e impensabile che conduce ad una ridefinizione dei concetti di affetto e famiglia a partire dal contatto tra individuo e natura. Il rapporto con l’animale invita l’essere umano a scorgere una nuova e originaria immagine di sé: ciò che li differenzia non è la ragione bensì un cuore pulsante privo di esigenze, meschinità ed egoismi materiali.