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testo e recensioni di Vanessa Mangiavacca

Ti lascio un posticino a casa mia, ma non dimenticarlo, sei a casa mia.
Jacques Derrida

La storia della filosofia occidentale si è basata sin dalle origini sulla limitante dicotomia uomo/animale, come se l’umanità fosse in grado di definirsi solo in contrapposizione all’animalità. Ad oggi, l’animale è ancora al centro del dibattito e dell’attivismo contemporaneo: antispecismo, animalismo, veganesimo ed ecofemminismo – ma potremmo continuare – hanno finalmente permesso una riconsiderazione del rapporto tra le due categorie, nel superamento della visione antropocentrica e una riconsiderazione del nostro modo di abitare il mondo e relazionarci con essi.

Nel celebre saggio L’animal que donc je suis, Jacques Derrida considera l’animale non più come oggetto ma soggetto altro, capace di osservare, pensare, quindi giudicare. Derrida se ne accorge casualmente, quando nudo inizia a provare vergogna di fronte allo sguardo della sua gatta. Pensiamo infatti agli animali da compagnia – chi fa compagnia a chi? – e a come quasi sempre diventino il perno delle nostre vite, reali o virtuali che siano. Senza rendercene conto proiettiamo su di loro i nostri bisogni e necessità relazionali, cercando un modo per colmare il vuoto e la solitudine.

Gli animali sono al centro della nostra fantasia e modalità di espressione – avete mai chiesto a una volpe se si sente davvero furba? O a un cane se è davvero così fedele? – ma anche del nostro linguaggio, cinematografico compreso. Attraverso una serie di opere brevi del panorama contemporaneo internazionale, Animal House esplora, all’interno della sfera intima e sociale, questo rapporto ricco di sfumature.

I film selezionati 

a cura di Vanessa Mangiavacca

Churchill, Polar Bear Town, Annabelle Amoros, doc, Francia, 2022

Kënga e Pellumbit (A Pigeon’s Song), Eneos Çarka, doc, Belgium/Albania, 2021

Still working, Julietta Korbel, fiction, Swiss, 2019

Tourneur, Yalda Afsah, exp, German, 2018

Zarde Khaldar (Spotted Yellow), Baran Sarmad, fiction, Iran, 2020

CHURCHILL, POLAR BEAR TOWN – Annabelle Amoros

Quanto vale un orso polare?

Money money money. Benvenuti a Churchill, piccola cittadina situata lungo la baia di Hudson. Se l’opera realizzata da Annabelle Amoros, a Concorto in anteprima italiana, vi sembra frutto di finzione, vi sbagliate: nella città degli orsi accadono cose davvero strane. Come rischiare un tu per tu con un animale affamato, trovare qualcuno travestito da orso (sazio) o una troupe televisiva dietro l’angolo. Ma anche un pullman di ricchi visitatori disposto a tutto per immortalare il grande mammifero bianco da vicino. Infine, una prigione per orsi polari.

Perchè questi animali si spingano in città in cerca di cibo, possiamo immaginarlo. Quello che fugge alla nostra fantasia è come questo fenomeno spaventoso e allarmante sia divenuto uno dei principali motivi d’arricchimento e business turistico del luogo. Anche nel mezzo della tundra canadese l’uomo è riuscito a fingersi vittima e a sottomettere l’animale selvaggio.

A PIGEON’S SONG – Eneos Çarka

Dove ti porta il canto di un uccello?

Eneos Çarka, giovane regista albanese, scava nel passato e rivive i sentimenti del suo bisnonno attraverso alcune lettere che quest’ultimo aveva scritto durante gli anni di prigionia a causa dall’appartenenza a un collettivo di intellettuali contrari alle idee dittatoriali di Enver Hoxha. A Pigeon’s Song è un viaggio nella memoria attraverso vecchi filmati, fotografie di famiglia, ricordi sbiaditi e strane coincidenze. È anche il tentativo di fissare un’emozione e rileggere gli eventi, perché a volte i traumi legati alla storia del proprio paese d’origine sono tali che basta il canto di un piccione per rievocarli.

SPOTTED YELLOW – Baran Sarmad

Quale pelle vorresti abitare?

Bastò una voglia marrone sul viso per trasformarla in una giraffa! Questa è la trama di Spotted Yellow, cortometraggio iraniano vincitore dell’edizione 2022 della Locarno Short Week. Giocando con la realtà, la regista iraniana Baran Sarmad crea un quotidiano tanto inspiegabile quanto desiderato, un’esperienza ad occhi aperti verso le fantasie che popolavano la nostra immaginazione prima del passaggio all’età adulta. C’è stato un tempo, in un angolo del nostro inconscio, in cui i confini imposti dal nostro corpo sembravano limiti superabili: se ancora adesso vi capita di chiudere forte gli occhi e volervi svegliare in un’altra pelle per fuggire da aspettative sociali o catastrofi mondiali, i colori pastello e le note surreali di questo cortometraggio vi ricondurranno con facilità verso quella parte di voi stessi.

Still working – Julietta Korbel

Chi ti guarda senza giudizio?

Still working racconta la storia di Pavel, uomo introverso e solitario, eremita metallurgico e unico guardiano di quel che resta della centrale elettrica di Chavalon, ormai in via di dismissione: con lui c’è solo un fedelissimo alano. L’invito a lasciare definitivamente quel luogo desolato crea una frattura e un forte smarrimento: sono bastati pochi secondi per spegnere definitivamente, quasi cancellare, quella mastodontica creatura di cemento frutto del lavoro di migliaia di uomini. Nell’opera di Julietta Korbel sono i silenzi a regnare, enfatizzati dall’annullarsi improvviso del rumore reiterato dell’unica turbina in funzione: di fronte a quella natura vasta quanto la paura di rimanere soli e doversi reinventare una nuova vita, affondiamo nell’unico abbraccio sincero possibile, quello di un uomo e del suo cane.

TOURNEUR –  Yalda Afsah

Cosa pensi del mo(n)do in cui vivi?

L’incontro tra uomo e animale è oggetto della ricerca cinematografica della regista tedesco-iraniana Yalda Afsah: Tourner è il primo di una serie di cortometraggi – seguito da Vidourle (2019), Centaur (2020) e SSRC (2022) – dedicati a questo rapporto e ai suoi instabili equilibri di affetto, possesso e dominio. Il suo progetto si rivela quanto mai attuale, legato al crescente dibattito contemporaneo sull’animalità e la messa in discussione del potere antropocentrico. Tourneur documenta lo svolgersi di una corrida nel sud della Francia: quello che inizia come un rito arcaico e folkloristico seguito da numerosi adolescenti, diventa ben presto una performance surreale, a tratti grottesca. Lo sguardo del toro ci ricorda infatti che gli animali non sono gli unici soggetti guardabili: anch’essi hanno capacità di osservazione. Attraverso una studiata costruzione dello spazio cinematografico, l’occhio della regista si posiziona a lato dei protagonisti, umani e non-umani, offrendo allo spettatore un’occasione privilegiata: quella di scrutarsi, nel silenzio, nelle dinamiche comportamentali e provare a rimettere in discussione le proprie modalità di co-abitazione.

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