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Ci abbiamo impiegato un po’ ma pian piano la redazione di AsinoVola ha gettato il cuore oltre l’ostacolo e ha osato sfidare la chimera Blade Runner. Come essere obiettivi di fronte a un mostro sacro della cinematografia mondiale? Impossibile, ma forse non è questo il punto. Andando a pescare nei recessi più profondi delle umane paure, BR da decenni stimola riflessioni e confronti, generando epigoni suggestivi. È proprio la suggestione che gioca un ruolo fondamentale nelle recensioni che seguono, chi l’ha subita, chi no, chi la dichiara e chi la sfida.

BLADE RUNNER 2049 – visto da Margherita Fontana

Denis Villeneuve si imbarca nell’impossibile impresa di pensare un seguito per il capolavoro di Ridley Scott, qui presente nella veste di produttore esecutivo. Ancora una volta (!) il futuro risiede in una nuova generazione, incarnazione esplicita dell’ambiguità latente tra essere umano e androide, e in una prospettata guerra civile, destinata a porre fine alla subordinazione forzata. L’universo distopico formulato da Ridley Scott negli anni ’80 sulla scorta del romanzo di Philip K. Dick viene riportato all’attualità attraverso le inquietudini della società contemporanea: alla pioggia onnipresente della Los Angeles degli anni ’80 si affianca una Las Vegas desertificata e radioattiva, mentre alla carestia si risponde con l’allevamento di insetti. All’ambiguità tra androide e essere umano si affianca quella della relazione virtuale: l’immancabile love story è declinata dal regista come il legame tra il protagonista, l’androide Blade Runner K. e Joi, un prodotto virtuale pensato per soddisfare i suoi bisogni emotivi. Se l’amore tra Deckard e Racheal, tra biologico e bionico, ha permesso il miracolo, quello tra Joi e K. resta un ripiego sterile, un sollievo autoreferenziale in una “vita” di solitudine. Villeneuve gioca con il dispositivo creato da Ridley Scott in cerca di combinazioni inedite e capovolgimenti citazionistici: il risultato è un film a tratti lento (una buona mezz’ora in meno non avrebbe guastato) con alcuni spunti di interesse (vedi la riflessione sulla realtà aumentata e la dimensione della virtualità), ma che in definitiva non regge il confronto. Non per niente si trattava di un’impresa impossibile.

BLADE RUNNER 2049 – visto da Yorgos Kostianis

Per gli appassionati di fantascienza come il sottoscritto, Blade Runner, il capolavoro neo-noir di Ridley Scott, è a dir poco una vera e propria “bibbia”. Tradotto filmicamente dall’avvincente libro di Philip K. Dick del 1968 “Do Androids Dream of Electric Sheep”, questa enigmatica visione cyberpunk ha ispirato generazioni intere a sprofondarsi in una futuristica distopia, carica di riflessioni filosofiche su cosa vuol dire essere umani. Pertanto, il compito di dar seguito a un’eredità così imponente è indubbiamente un fardello pesante da portare. Denis Villeneuve (“Arrival”, “Sicario”, “Incendies”) invece, riesce a sopportarlo con grazia e riverenza, realizzando un “peana” cinematografico dedicato al suo predecessore.
Cavalcando un’ondata di effetti visivi strabilianti a cura del leggendario direttore della fotografia Roger Deakins, Villeneuve ci riporta nei meandri di una Los Angeles fosca e piovosa, 30 anni dopo gli eventi del primo film. Ryan Gosling dà sfoggio al suo vasto repertorio interpretando l’agente K, un replicante impassibile che parla a monosillabi. K è un cacciatore di replicanti fuori legge e durante la sua ultima missione, riesuma un segreto sepolto da anni che lo metterà in rotta di collisione con la trama del film originale. Sebbene il film sia alquanto privo della maestosità noir e della magniloquenza del suo predecessore, compensa questa mancanza con nuove e ambiziose sottotrame piene d’inquietudini esistenziali che riecheggiano sinistramente Her di Spike Jonze. A differenza della maggioranza dei reboot moderni, Villeneuve pianta astutamente svariati richiami al film originale, che si rivelano non solo raffinati ma ambiscono pure ad arricchire e ampliare la mitologia di questo universo.

Tuttavia, un campo in cui il film non è assolutamente all’altezza dell’originale è la colonna sonora. Rispetto alle composizioni magistrali di Vangelis, il mix sonoro di assordanti schiocchi metallici e rumori molesti di Zimmer risulta piuttosto una magra consolazione. Purtroppo, il film perde trazione nella seconda metà. Invece di un crescendo solido, ci presenta una recitazione nostalgica, sebbene ornamentale da parte di Ford e una incredibilmente breve e arbitraria comparsa di Sean Young che non fa che macchiare il personaggio iconico di Rachael, precipitando verso una conclusione sfrenata e snella. Considerando le premesse, Villeneuve merita indiscutibilmente di un certo elogio per aver intrapreso, e presumibilmente compiuto, questo compito erculeo. Anche se non lo perdonerò mai per aver fatto fuori i bramati ombrelloni spada laser del 2019.

BLADE RUNNER 2049 – visto da Carlotta Magistris

Carico di tutte le aspettative che una responsabilità come il sequel di Blade Runner, film iconico della storia del cinema moderno, può creare, Denis Villeneuve, acclamato regista di quella che è definibile come una sorta di fantascienza impegnata, a distanza di 35 anni si confronta con il capolavoro di Ridley Scott, circondandosi di tutta la qualità possibile che per questo atto titanico è richiesta: uno dei due sceneggiatori originali del primo film (Hampton Fancher), un budget totale attorno ai 185 milioni e un cast al meglio delle sue potenzialità; il solito sopracciglio inarcato dell’icona contemporanea Ryan Gosling, Harrison Ford, irriducibile, che già appare nel film precedente e Jared Leto che dà ancora prova di essere un attore più che interessante. Quello che ne esce fuori è inevitabilmente buono e nulla sembra fuori posto: dalla colonna sonora potente, alle ambientazioni d’impatto che ringraziano un progresso tecnologico che non può essere messo a confronto con quello di cui beneficiavano i film di questo genere 30 anni fa, alle riflessioni di natura etico-filosofica sulla natura dell’uomo che ritornano, senza banalizzarsi, sotto il segno di un regista dal grande potenziale che ha ancora tanto da esprimere. Resta da chiedersi se operazioni di questo tipo siano funzionali per il (suo) progresso cinematografico o riescano soltanto a strappare qualche sospiro e la voglia di tornare al cinema ai più affezionati e la curiosità nei neofiti per un film progettato per non essere dimenticato.

BLADE RUNNER 2049 – visto da Elena Saltarelli

Quest’opera, diretta da Denis Villeneuve, può essere definita come il sequel per eccellenza; e ciò comporta, purtroppo, forti e impietosi paragoni. Infatti, mettendola a confronto con l’originale cult, ne esce sconfitta, per ovvie ragioni: le lacune autoriali, il taglio fotografico forse troppo ben confezionato e il confronto spietato tra un amorfo Gosling e nientemeno che Harrison Ford. Ma se invece devo ragionare d’istinto, e lasciarmi trasportare da un sentimento estemporaneo, ciò che mi ha restituito BR 2049 è stata la sensazione di partecipazione collettiva a qualcosa di grande. Sì, perché grande, anzi, maestosa, è la fotografia di Roger Deakins (già apprezzato in capolavori come Non è un paese per vecchi o Fargo): la trasposizione di un universo che si attende alla versione originale, ma la supera regalandoci atmosfere che da sole valgono l’intero film. Visioni desertiche di un’umanità compromessa, stimoli visivi estremamente cerebrali e scene (come quella che vede Gosling e Ford prendersi a pugni tra le immagini glitchate di una decadente e futuristica Las Vegas, posta nell’extramondo) che trascendono il fantascientifico per inoltrarsi nella delicata area dell’introspezione distopica, emozionandoci attraverso l’immagine, supportata dalla colonna sonora impeccabile dell’ormai consacrato Hans Zimmer. Seguendo questa analisi e abbandonando la pretesa cult che il film cerca di mantenere per tutta la sua durata, poco importa se la storia inizia con l’agente K che scorge per caso un fiorellino in terra, o se Wallace ha lo stesso spessore dialogico del chiromante che lavora vicino alla stazione: in quel mondo lì io mi ci sono persa dentro. Ancora una volta.

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