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Roman Polanski è tra gli ultimi “leggendari” registi viventi, già consacrato dalla storia e dalle cronache come un pilastro della cinematografia mondiale. Ignorare un suo nuovo film in sala è pressoché impossibile, tanto più che le pellicole precedenti, Carnage e Venus in Fur, ci hanno regalato indimenticabili momenti di cinema.
“D’après une histoire vraie” è stato snobbato dal pubblico e dalla critica ma la redazione di Asinovola, nelle persone di Margherita Fontana e Carlotta Magistris, non ci ha deluso, regalandoci due recensioni gustosamente in disaccordo.

D’après une histoire vraie – visto da Margherita Fontana

Delphine (Emmanuelle Seigner) è una scrittrice il cui improvviso successo è dovuto a un libro ispirato alla follia della madre, morta suicida in un manicomio. Stremata dall’ultima fatica letteraria e colta dal proverbiale “blocco dello scrittore”, la donna stringe una strana amicizia con una misteriosa ammiratrice, Lei (in francese Elle, interpretata da Eva Green). Mentre le attenzioni e la cura prestate da Lei a Delphine si trasformano in una gelosia possessiva, assistiamo ad una progressiva sostituzione di identità: Elle diventa Delphine, perché ovviamente Elle è Delphine. Una proiezione nata dai sensi di colpa della scrittrice per essersi avidamente nutrita della vita dei suoi cari per alimentare il suo successo. È ancora una volta Lei a distrarre Delphine dal suo progetto di scrivere una fiction per darsi alla creazione del suo “libro nascosto”, che non è altro che la narrazione rubata al proprio inconscio tormentato. Una volta aperto il vaso di Pandora Delphine rischia la vita. Tuttavia, rimestare nella crudeltà della vita vera paga: il nuovo libro è un successo. Quello che non so di lei (o Tratto da una storia vera, come dice il titolo in francese) dovrebbe essere una riflessione sul dolore e sulla colpa che stanno alla base del processo creativo: dare forma ad un’opera d’arte è dare potere ad una forza distruttiva per darla in pasto ad un pubblico che si nutre del dolore degli altri (e dell’artista). Peccato che l’ultimo film di Polanski non sia affatto riuscito: la tragicità di questa “vita vera” da cui l’artista trae a piene mani è tratteggiata con caratteri grotteschi. Faccio un esempio. Quando Lei/Elle, questo inconscio incarnato a cui Delphine si ispira per il suo prossimo romanzo, racconta della sua amica immaginaria, del suicidio della madre, dell’incendio della casa in cui il padre, per giunta violento, è rimasto ucciso, del marito, guida alpina virile e barbuta, morto in un incidente, al pubblico scappa una sincera risata. Della serie: anche meno.

D’après une histoire vraie – visto da Carlotta Magistris

D’apres une histoire vraie, tradotto volgarmente in italiano con Quello che non so di lei, è la nuova attesa fatica di Roman Polanski, che dopo l’ultimo insuperabile Venere in pelliccia torna con un film riconoscibile nelle sue morbosità e nelle sue angosce, confermando il regista, a oggi più che ottantenne, come ancora una delle cose più interessanti da vedere in sala. Si sente tutto: l’eco agrodolce tipico del regista di un rapporto nefasto di coppia e con sé stessi, una Emmanuelle Seigner che abita ormai da anni stabilmente la cinepresa del marito, matura, che perde la sensualità che ha caratterizzato la maggior parte delle sue interpretazioni per mostrare una donna più vissuta e abitata dai fantasmi di un passato mai del tutto esplicitato, la sceneggiatura di Olivier Assayas, che dipinge un rapporto stretto e ambiguo fra due donne di età differenti in linea con le Binoche e Stewart di Sils Maria, una relazione che si conclude con una risoluzione fumosa e a tratti pericolosamente personale. A questa nuova eleganza adulta della Seigner viene contrapposta una Eva Green efficace, a tratti snervante nei suoi manierismi, ma che regge per tutto il film il personaggio evanescente che incarna fino ad arrivare a un finale nettamente polanskiano, non dei migliori, ma del tutto in linea con i toni opachi della pellicola.