recensioni a cura di Virginia Marcolini e Anna Vullo
Prosegue anche nel 2022 la collaborazione con l’European Film Awards, l’Academy europea del cinema, attraverso una programmazione di film e l’avvio della candidatura di Concorto come membro e festival qualificato a selezionare i cortometraggi candidabili al premio.
Fondata nel 1988, oggi l’Accademia europea del cinema unisce 4000 professionisti europei della cinematografia con l’obiettivo comune di promuovere la cultura cinematografica d’Europa. EFA Shorts è il programma dell’Accademia europea del cinema che porta in tour i cortometraggi europei candidati.
I film selezionati
Armadila, Gorana Jovanovic, Croazia (2020)
Bella, Thelyia Petraki, Grecia (2020)
Dalej Jest Dzien (Beyond Is The Day), Damian Kocur, Polonia (2020)
Fall Of The Ibis King, J. O. Caoimh, M. Geronimo, Irlanda (2021)
Hamesima Hebron (Mission Hebron), Rona Segal, Israele (2020)
In Flow Of Words, Eliane Esther Bots, Paesi Bassi (2021)
The Long Goodbye, Paul Mas, UK (2020)
The News, L. Terezi e Anila Balla, Albania, Spagna (2020)
Vo, Nicolas Gourault, Francia (2020)
Recensioni a cura di Virginia Marcolini e Anna Vullo
MISSION HEBRON – Virginia Marcolini
Tramite le testimonianze di sei ex soldati israeliani in missione ad Hebron e filmati privati girati nella città, la regista israeliana Rona Segal dà vita a un documentario che, seppur in 25 minuti, riesce a ricostruire con chiarezza una ormai atavica situazione di oppressione sistemica. Il film dipinge con inaspettato candore la brutalità dell’esercito israeliano nei confronti dei cittadini palestinesi, e lo fa in maniera schietta e cruda. Prevaricazione, umiliazione e repressioni arbitrarie diventano la quotidianità a cui i civili palestinesi sono sottoposti dall’esercito e dai coloni israeliani. È con un ritmo molto dinamico e sincopato che veniamo quindi catapultati all’interno di questa realtà, da cui non possiamo fare altro che uscire increduli, frustrati e arrabbiati.
FALL OF THE IBIS KING – Virginia Marcolini
Presentato nella Selezione Ufficiale della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia del 2021, Fall of the Ibis King indaga la decadenza della relazione tra tre personaggi. La forma scelta è l’animazione, in questo caso caratterizzata da atmosfere cupe, distorte, silhouettes spigolose e colori accesi, che riecheggiano il cinema espressionista tedesco e la sua inquietudine. In questa cornice sospesa nello spazio e nel tempo, il dramma iniziato dietro le quinte di uno spettacolo teatrale si consuma sul palcoscenico, ultimo atto di una tragedia che vede come protagonisti gli stessi attori. In questo intricato meta-teatro, a cui assistiamo in tutto e per tutto come spettatori, sono le musiche a evocare e le suggestioni visive a guidarci.
BELLA – Anna Vullo
Anthi non riesce più a prendere le cose alla leggera, tutto le risulta pesante da quando il marito è andato a vivere nell’URSS per lavoro, lasciandola in Grecia con i figli. Ce lo racconta nella lunga lettera al marito che fa da sottofondo all’intero corto. Non cerca tanto delle risposte, quanto una possibilità di sfogare la tremenda solitudine in cui si trova, i dubbi che le sorgono riguardanti la sua relazione con il coniuge. La quotidianità di Anthi è ripresa attraverso tanti filmati di famiglia, che si alternano a spezzoni di documentari: si scopre essere il 1987. Siamo alla fine della guerra fredda, appena prima che un intero sistema crollasse. Con questo film la regista greca Thelyia Petraki non ci vuole, quindi, raccontare soltanto la pesantezza d’animo di Anthi, quanto una condizione generale che toccò tante persone di quell’epoca.
THE NEWS – Virginia Marcolini
Una famiglia vive tranquillamente nella statica quotidianità di un villaggio vicino Tirana. All’improvviso, un episodio mette in subbuglio questa realtà, coinvolgendo la famiglia in prima persona: il ritrovamento del corpo di una bambina. È a questo punto che l’atmosfera -paradossalmente- si alleggerisce ed erge a focus narrativo le reazioni della famiglia, del villaggio e dei media nazionali a questa notizia scioccante. Gli svolgimenti delle indagini, seppur presenti, passano in secondo piano e la telecamera inizia a seguire nelle stanze private delle case i discorsi, i commenti e le dirette televisive che vedono come star-testimoni i membri della famiglia, intervistati dalla stampa. In poco tempo il caso viene chiuso, e quei quindici minuti di gloria si spengono in una ri-conosciuta placidità.
IN FLOWS OF WORDS – Anna Vullo
Tra i film della selezione ufficiale del Festival di Locarno, In flows of words, è un cortometraggio che non vuole essere tanto guardato, quanto ascoltato. Come si può capire dal titolo, l’opera è un flusso continuo di parole, pronunciate dagli interpreti che hanno collaborato al Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia. Un lavoro peculiare, che presuppone una certa compostezza e neutralità nel ruolo di intermediario tra testimone e imputato. Riportano le testimonianze attorno alle atrocità portate avanti in Bosnia Erzegovina, in particolare quelle perpetrate nel campo di concentramento di Omarska e durante il massacro di Srebrenica. Le vittime non hanno né voce, né volto. “Sono solo parole, non vi preoccupate”, dice la voce fuoricampo. Ma cosa succede quando gli interpreti stessi diventano consapevoli che anche loro potevano essere le vittime dei racconti che stanno riportando? La regista Eliane Esther Bots indaga il ruolo di questi personaggi nel momento in cui le parole da interpretare diventano così opprimenti e taglienti da squarciare anche la loro bolla professionale.
BEYOND IS THE DAY – Virginia Marcolini
Siamo in Polonia, in un piccolo villaggio di campagna che si affaccia su un fiume. È qui che vive Paweł, un uomo umile la cui vita, solitaria e silenziosa, gira attorno al suo lavoro: traghettare persone da una sponda all’altra del fiume. Ad interrompere questa continuità c’è l’arrivo di Mohammed, un uomo palestinese immigrato illegalmente per poi raggiungere la sua famiglia in Germania. Superata un’iniziale titubanza, Paweł lo accoglie in casa sua e finalmente trova qualcuno con cui parlare. Il linguaggio con cui comunicano, però, diventa soltanto accessorio a quella che è una comprensione più profonda e viscerale. I due infatti iniziano ad osservarsi con timida curiosità in tutti quei piccoli rituali quotidiani, e altrettanto rispettosamente si ascoltano, come possono. Il ritratto che il regista ci propone dunque, non ambisce a trattare una tematica tanto complessa quanto spesso banalizzata come l’immigrazione, è piuttosto il racconto di un incontro tra due persone, estremamente delicato e umano.
ARMADILA – Virginia Marcolini
È difficile capire cosa passa per la testa di Sanja. La sua espressione accigliata e pensierosa e i suoi occhi scrutatori cercano di comprendere il mondo che la circonda e le sue emozioni, ma è difficile tenere tutto sotto controllo. Il cortometraggio ci avvicina alla protagonista sin dalla prima scena e, con l’ausilio di innumerevoli primi piani, cerca di coglierne ogni impercettibile battito di ciglia. Capiamo che le situazioni che al momento la affliggono sono la scomparsa del proprio cane, Krle, e la cotta per il coetaneo Darko, a cui non riesce ad esprimere il suo interesse. Seguendo Sanja in una giornata passata insieme a Darko, assistiamo, in un tenero crescendo, a sempre più frequenti manifestazioni delle proprie emozioni, ormai impossibili da reprimere.
THE LONG GOODBYE – Anna Vullo
In un quartiere residenziale del Regno Unito una famiglia di origini pakistane è, tra chiacchiere e battibecchi, nel bel mezzo dei preparativi per un matrimonio. Di sopra le ragazze si preparano, di sotto Riz gioca col più piccolo della famiglia, ignorando il notiziario che mostra manifestazioni di estrema destra nel paese. Il clima di festa si trasforma in incubo quando gli skinheads, poco fa in tv, arrivano sull’uscio di casa, con la polizia e i vicini indifferenti. Non sorprendono i vari premi che The Long Goodbye si è aggiudicato, tra cui quello al Miglior Cortometraggio nell’edizione più recente degli Oscar. Scritto e diretto da Aneil Karia, con Riz Ahmed (Sound of Metal, The night of), che ha collaborato anche alla stesura del copione, è notevole quanto chiaramente siano visualizzate tutte le contraddizioni e le problematiche che ancora oggi sopravvivono nel paese riguardo al tema dell’integrazione, condensate in tredici minuti di corto come addensate ma significative risultano le parole pronunciate nei testi rap che danno il ritmo alla devastazione della famiglia di Riz.
VO – Anna Vullo
Il VO del titolo sta per l’operatore del veicolo (“Vehicle Operator” in inglese), la cui definizione è la seguente: qualsiasi dipendente che sia tenuto a guidare un veicolo a motore nell’esercizio delle proprie mansioni. La persona in questione, si aggiunge, in virtù delle conoscenze, della formazione e dell’esperienza, è qualificata a svolgere tale mansione in modo sicuro e protetto. Il corto di Nicolas Gourault riflette su questi ultimi due aggettivi, sicuro e protetto, attraverso la documentazione di un incidente mortale per un pedone in Arizona, colpito da un’auto di guida autonoma di Uber, in cui il “safety driver”, al posto di controllare la strada, stava guardando Netflix. “Era come farsi accompagnare da tua madre”, si sente dire da uno degli autisti intervistati. Attraverso telecamere che ricordano il supercomputer HAL 9000 in 2001: Odissea nello spazio sorge una domanda: ci si potrà mai fidare completamente della tecnologia?
Recensioni a cura di Chiara Ghidelli
ST. JUDE
Nel silenzio e nella notte di un quartiere che potrebbe appartenere a qualsiasi città, il corpo di Elisabeth si muove esplorando sé stesso e la propria storia. Con il chiaro obiettivo di ritrovare un amore misteriosamente perduto ma ancora vivo, l’anima di Elisabeth parte per questa ricerca. Unica guida, una voce in un walkie talkie con una lunga storia da raccontare. Intrecciando suggestioni sonore ipnotiche e fluide con immagini surreali e prive di spazio-tempo, St. Jude riesce a ricreare i movimenti di un’anima tormentata dall’inspiegabile scomparsa dell’amata. Una storia d’amore e di fantasmi in un intreccio che ricostruisce il linguaggio del sogno e del ricordo. La storia di un incontro fatto di immagini che arrivano da un tempo lontano ma non ancora del tutto passate.
(THIRD STUDY FOR) SWEDGE OF HEAVEN
Paesaggi familiari, statue di legno e umanoidi con la testa a forma di smile. L’ultimo progetto di Richard Forbes-Hamilton è un flusso di immagini caleidoscopiche e in continua trasformazione che sperimenta diverse tecniche di animazione digitale, dalla rielaborazione 3D di paesaggi reali alla progettazione di personaggi al computer. Giocando sulla riconoscibilità delle immagini appartenenti al nostro repertorio della memoria, (Third Study for) Swedge of Heaven trasporta l’occhio da luoghi apparentemente conosciuti (molti ispirati alla natura dell’Essex) a mere forme geometriche prive di contesto o realismo, astraendo la realtà e costringendo chi osserva a slacciare la comprensione del flusso di immagini da qualsiasi tipo di riferimento. A popolare queste nature surreali, silenziosi personaggi appartenenti a culture tribali e rituali che danno vita a un mosaico di pulsazioni e suggestioni sul rapporto che da sempre intercorre tra natura e cultura.
SONGS FOR DYING
In un progetto che ibrida documentario, immagini di repertorio e scenari magici e irreali, l’artista thailandese Korakrit Arunanondchai costruisce un saggio sulla morte attraverso uno sguardo che la indaga sotto più luci ed accezioni. Raccontando paesi e culture in cui i confini tra vita e morte sono sottili e indefiniti, Songs for dying riesce a unire il pubblico e il privato, la piccola storia con la grande storia. Dal racconto della morte di un suo caro alla denuncia della morte di massa, l’artista testimonia quanto la morte possa caricarsi di un pesante valore politico, generando energie a piccolo o ad ampio raggio capaci di scandire per capitoli la storia dei singoli e delle nazioni, cambiandola in modo irreversibile. In entrambi i casi, speranza: Songs for dying si dimostra elogio alla vita che, nonostante tutto, trova il modo di conquistare nuovi spazi.
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