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a cura di Claudia Praolini | recensioni di Sofia Brugali

Attraverso i focus tematici, il Festival si propone di indagare di volta in volta fenomeni ed aspetti della realtà attuale che rappresentano lo specchio dei desideri e delle contraddizioni che insieme formano la complessità della natura umana. All’interno di questa direttrice non poteva mancare quest’anno una ricerca sulla relazione tra l’uomo e la natura attraverso la proposta di una serie di cortometraggi che analizzino questa relazione articolata, anche considerando che oggi l’aspetto primario di questo rapporto si condensa sull’utilizzo sfrenato delle risorse e sulla rottura di un equilibrio globale di cui si registrano i pesanti effetti già da molti anni.
Il pianeta è in pericolo a causa delle modifiche apportate dall’uomo, che ormai ha modificato il 77% delle terre emerse, spesso smembrando la natura per fare spazio a complessi residenziali, industriali o commerciali, ma anche per fare spazio ad allevamenti di bestiame e attività agricole. Solo il 23% dei territori mondiali sono ancora integri, ed a preoccupare gli esperti è il trend in crescita esponenziale: dal 1990 ad oggi l’uomo ha devastato 3,3 milioni di kmq di territorio. Il territorio mondiale etichettato come “wilderness” – definizione di “natura selvaggia” – ovvero quelle aree dove attualmente non si registrano attività umane invasive, agricoltura compresa, sono in costante diminuzione, ormai rappresentano solo il 23% del pianeta.

 

I film selezionati 

a cura di Claudia Praolini

Black Summer Australia 2019/2020 di Felix Dierich, Germania, 2022
Das Warten (The Waiting) di Volker Schlecht, Germania, 2023
Fire Season di Quinn Else, Stati Uniti, 2021
Mater Inerta di Adria E. Goy, Spagna, 2022
Mountain Land: A Celebration di Kris Ong, Singapore, 2022
Nuisance Bears di Jack Weisman e Gabriela Osio Vanden, Canada, 2021
Sirens di Ilaria Di Carlo, Germania e Italia, 2022
The Coast di Sohrab Hura, India, 2021

Recensioni a cura di Sofia Brugali

DAS WARTEN

Volker Schlecht

La voce della biologa Karen Lips ricostruisce le proprie ricerche sul campo nello stile di un podcast true crime, raccontando la sparizione di una specie di rane nella foresta amazzonica. L’accompagna un’animazione in continuo divenire, sagome in cambiamento che suggeriscono l’interconnessione poetica e pericolosa tra tutti gli esseri naturali.

MATER INERTA

Adria E. Goy

Teresa vive insieme al suo cane Luna nella Catalogna rurale, in una natura ancora prominente, fatta di boschi, buio e cicale, ma continuamente violata dallo sfruttamento delle risorse. La violenza dell’uomo si esprime nel cortometraggio soprattutto nella sua evoluzione tecnologica – il braccio armato di un sistema in cui patriarcato e capitalismo si alimentano a vicenda. Il giogo antropocentrico viene scosso dall’allontanamento di Luna, inconsapevole del concetto di proprietà e simbolo della resistenza del selvatico.

MOUNTAIN LAND: A CELEBRATION

Kris Ong

Mountain Land (la Terra delle Montagne) è un’isola misteriosa, la cui forma ricorda una persona rannicchiata e dormiente. Con un’impostazione da documentario didattico, ma anche con una sensibilità che riluce della meraviglia dei poeti romantici, il documentario di Kris Ong descrive la natura selvaggia e variegata dei paesaggi e degli abitanti dell’isola, sottolineando i falliti tentativi di conquista. In Mountain Land: A Celebration, lo stupore abbraccia essere umano ed ambiente, fondendoli in un’unica, sublime visione panteistica del mondo.

NUISANCE BEARS

Weisman e G. Osio Vanden

Churchill, in Canada, viene presentata sui siti di viaggio come la meta perfetta in cui avvistare gli orsi polari, che durante l’estate, con lo sciogliersi dei ghiacci, si ritirano sulla terraferma. Un’esperienza sicura, promossa da numerosi tour operator della cittadina e assicurata dalle pattuglie che incessantemente monitorano e determinano il percorso degli animali. Mettendo in discussione il discorso antropocentrico che sostiene tali pratiche, Nuisance Bears restituisce un’immagine grottesca, in cui il benessere animale è da tutti negato, privato della propria legittimità dalle fotocamere dei turisti e dai fucili dei guardacaccia.

SIRENS

Ilaria Di Carlo

Sirens è un viaggio suggestivo quanto minaccioso tra le lande desolate da anni di politiche estrattive nelle province tedesche della Lusazia e della Renania settentrionale – Vestfalia. Le riprese ampie, effettuate in elicottero, dall’alto, donano altre prospettive all’occhio dello spettatore: tra onde irregolari di terra sterile, le bocche spalancate al cielo delle centrali elettriche a carbone cantano il loro richiamo di fumo.

BLACK SUMMER. AUSTRALIA 2019-2020

Felix Dierich

In Black Summmer. Australia 2019-2020 il regista documenta i devastanti incendi che hanno divorato l’Australia durante l’estate a cavallo tra 2019 e 2020. Un disastro la cui magnitudine è sottolineata dallo sguardo più ampio del satellite meteorologico Himawari-8, spettatore silenzioso ed imparziale. Lo sguardo freddo della macchina viene drammatizzato da impressioni uditive umane: mentre giorno e notte si alternano inesorabili, il crepitare delle fiamme è il monito della catastrofe in atto.

THE COAST

Sohrab Hura

Ambientato durante le festività religiose nella regione indiana di Tamil Nadu, The Coast celebra la connessione tra uomo e natura, sulla zona di confine tra terra e mare. Nella violenza delle onde che si allungano e ritraggono, facendo vibrare il corpo di emozioni contrastanti, Sohrab Hura esalta gli opposti come complementari– non elementi binari, ma continuum unico e circolare.

 

FIRE SEASON

Quinn Else

Fire Season documenta in maniera originale gli incendi che hanno devastato la California nel 2021, fondandosi su due livelli narrativi: da una parte le immagini ritraggono la realtà della devastazione in atto ai danni dell’ambiente; dall’altra il suono dei telefoni cellulari e le domande rivolte all’intelligenza artificiale sottolineano l’alienazione degli esseri umani. Il crepitante grido del fuoco che consuma la materia, l’estinguersi mortale dell’ossigeno, l’inquietante spettacolo delle fiamme che tingono il cielo vengono interpretati solo nella loro suggestiva teatralità, quasi la Terra fosse un’arena in cui l’essere umano siede indisturbato nella platea. Man mano che le voci diventano sempre più distorte, però, l’azione pare coinvolgere l’indifferente spettatore, a monito del suo ruolo di attore.