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a cura di Claudia Praolini | recensioni di Sofia Brugali

Attraverso i focus tematici, il Festival si propone di indagare di volta in volta fenomeni ed aspetti della realtà attuale che rappresentano lo specchio dei desideri e delle contraddizioni che insieme formano la complessità della natura umana. All’interno di questa direttrice non poteva mancare quest’anno una ricerca sulla relazione tra l’uomo e la natura attraverso la proposta di una serie di cortometraggi che analizzino questa relazione articolata, anche considerando che oggi l’aspetto primario di questo rapporto si condensa sull’utilizzo sfrenato delle risorse e sulla rottura di un equilibrio globale di cui si registrano i pesanti effetti già da molti anni.
Il pianeta è in pericolo a causa delle modifiche apportate dall’uomo, che ormai ha modificato il 77% delle terre emerse, spesso smembrando la natura per fare spazio a complessi residenziali, industriali o commerciali, ma anche per fare spazio ad allevamenti di bestiame e attività agricole. Solo il 23% dei territori mondiali sono ancora integri, ed a preoccupare gli esperti è il trend in crescita esponenziale: dal 1990 ad oggi l’uomo ha devastato 3,3 milioni di kmq di territorio. Il territorio mondiale etichettato come “wilderness” – definizione di “natura selvaggia” – ovvero quelle aree dove attualmente non si registrano attività umane invasive, agricoltura compresa, sono in costante diminuzione, ormai rappresentano solo il 23% del pianeta.

 

I film selezionati 

a cura di Claudia Praolini

Kalsubai, Yudhajit Basu, India, 2021
Muoy Lean Chhnam (A Million Years), Danech San, Cambodia, 2018
Natural Hosts, Nick Jordan, UK, 2020
Überfrog, Tuomas Kurtakko, Finland, 2020
Yollotl (Heart), Fernando Colin Roque, France, 2021

Recensioni a cura di Sofia Brugali

KALSUBAI

Gli occhi di Yudhajit Basu osservano silenziosi la vita del popolo dei Mahadeo Koli, ai piedi del monte Kalsubai, nello stato del Maharashtra, India. Presente e passato si intrecciano, modernità e tradizione non sono concetti antitetici, ma convivono: mentre una voce fuori campo narra della nascita della terra dal mare e racconta il mito di Kalsubai, la videocamera alterna elementi naturali e umani – in particolare femminili. Kalsubai è la storia di un’alternativa sistemica al capitalismo, in cui le credenze animiste sono alla base della cura per l’ambiente: il culto della dea, un costume emancipatorio per le donne del villaggio, è esemplare d’una pratica rispettosa del benessere umano e planetario.

MUOY LEAN CHHNAM

Muoy Lean Chhnam (Un Milione di Anni) raggiunge il perfetto equilibrio nella tensione tra opposti. La flora cambogiana è un’ambientazione tranquilla, quasi immanente: l’immobile montagna si erge come sfondo allo scorrere della quotidianità. Il fiume fluisce, le barche scivolano sulle sue acque, la giovane protagonista cammina in mezzo al verde. Persino quando si siede, il movimento è garantito dai dialoghi. Due trame differenti, o forse tempi diversi, mostrano le ansie di una generazione. Il sistema patriarcale e capitalista, con la sua cieca fede nello sviluppo e l’attaccamento a tradizioni del passato, minaccia esseri umani e natura, intrappolandoli con barriere fisiche o socialmente costruite.

 

NATURAL HOSTS

Sono bastati due minuti a Nick Jordan per esprimere una contronarrazione non-antropocentrica delle pandemie globali: non una piaga casualmente abbattutasi sul genere umano, ma la naturale conseguenza dei suoi eccessi. Mentre la voce narrante della primatologa e antropologa Jane Goodall mette al vaglio le azioni umane, la presenza delle persone si percepisce sempre più minacciosa, anche se solo suggerita dalle immagini di un capanno da caccia e una casa abbandonata, abitata da pipistrelli. La videocamera a visione notturna infrarossi contribuisce al generale senso di pericolo, ma il nemico non è un virus: sei tu stesso, caro spettatore.

ÜBERFROG

La coscienza è l’ultima e la più tardiva evoluzione della vita organica, e di conseguenza è ciò che vi è di meno compiuto e più fragile. (Nietzsche)
Quando una rana mangia dei funghetti luminescenti, il suo viaggio a caccia di cibo diventa un intenso trip psichedelico. La camera gioca indugiando ora sull’attonito anfibio, ora su ciò che lo circonda, mentre la barriera tra interiore ed esteriore, soggettività e alterità, si rivela labile e flessibile. La danzante geometria di piante e fiori prende improvvisamente fuoco. Le paure della rana si manifestano sotto forma di una strada piena di macchine e ruote, dove regna il caos: un altro codice governa la giungla urbana, la legge della natura è stata spodestata. La quiete viene ritrovata nella palude, dove l’onirica visione del miracolo della vita conclude (o rinnova?) il viaggio dell’anfibio.

YOLLOTL

Camminando fra gli alberi
Il mio cuore è felice.

Yollotl, la parola Nahuatl per “cuore”, è un poema che abbraccia il cosmo, con le sue stelle e gli esseri umani a testimoniare la nascita e il progredire ininterrotto della storia d’amore tra l’albero della Ceiba e quello dell’Ahuehuete. Il loro legame supera il tempo e lo spazio, preservato dalla memoria umana e nella luce che irradia dal presente e raggiunge remoti corpi celesti nel futuro in quanto passato. Nella foresta pluviale messicana, aver cura è tradizione e rituale: un gruppo di bambini, nuovi devoti, rinnovano il loro omaggio alla natura che respira. Ispirandosi alla mitologia mesoamericana, Fernando Colin Roque poeta la natura e l’umanità, mettendo la loro relazione all’interno della più grande cornice dell’universo e sotto l’influenza della stessa forza: l’amore.

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