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La rassegna Mirrors propone una serie di storie che trattano il tema dell’identità di genere.
Spesso i protagonisti dei cortometraggi più emozionanti sono adolescenti e la storia ruota intorno alle loro fragilità e al loro desiderio di vivere la vita nel modo più intenso possibile. Altre volte i protagonisti sono esploratori in viaggio alla ricerca di sé stessi, alla ricerca di un nome che possa aderire alla loro immagine interiore e soprattutto al loro corpo.
Sono storie intense immerse in realtà multicolori, amplificate dal caleidoscopico meccanismo dei social, un tentativo di rendersi continuamente visibili, nelle nostre molteplici forme, agli occhi del mondo.
La libertà di essere ciò che si è a volte è frutto di un percorso difficile fatto di dubbi, di paure, di difficoltà nelle relazioni familiari, di silenzi. I protagonisti che incontreremo sono persone disposte a mettersi in gioco, disposte quasi a morire pur di vivere nella verità, pur di essere amate per quello che sono.

I film selezionati 

a cura di Simone Bardoni e Claudia Praolini

A gis di Thiago Carvalhaes, Brasile, 2016
Elena di Ayerim Villanueva, Costa Rica, 2017
Lagi Senang Yaga Sekandang Lembu di Amanda Nell Eu, Malesia, 2017
Manivald di Chintis Lundgren, Estonia, 2017
Sirene di Zara Dwinger, Paesi Bassi, 2017
Snap di Felipe Elgueta, Cile, 2018
Vaca Profana di René Guerra, Brasile, 2017
Vidi Ja Ti Nea (Would you look at her) di Goran Stolevski, Macedonia, 2017

A GIS – Thiago Carvalhaes | visto da Sofia Brugali

A Gis è un documentario che si esprime a parole, una storia raccontata da più voci, la cui protagonista è Gisberta, transessuale brasiliana vissuta e brutalmente assassinata a Porto, diventata uno dei simboli della lotta LGBTQI. Il regista si spinge però oltre la vicenda, oltre ogni differenza di genere, mettendoci di fronte al nudo essere umano: nel ricordo viene ricostruita la vita di una donna, dall’infanzia spensierata alla solitudine e all’abbandono. Le stesse riprese sono immediate, quasi amatoriali, cosicché lo spettatore diventa parte della scena. L’empatia è la colonna portante della narrazione: Gisberta è vittima di una società indifferente, ma il germe della speranza è racchiuso nel titolo stesso e la pellicola è una lunga ode alla vita in tutte le sue sfaccettature.

ELENA – Ayerim Villanueva | visto da Margherita Fontana

Elena ha diciassette anni e vive con la nonna Tita in mezzo alla campagna. Tutti i giorni prende l’autobus per andare al lavoro in città, è silenziosa, educata e quasi invisibile. Tuttavia, dietro alla calma apparente della ragazza si nasconde un forte dubbio sulla sua sessualità. La visita improvvisa Julia, la giovane e bella cugina di Elena, scatenerà la ribellione silenziosa al moralismo di stampo religioso della nonna. La passione che scoppia tra le due ragazze segna la fine del grigio passato (domestico, a tono anche nella fotografia) verso un futuro a colori. Il corto della regista dominicana Ayerim Villanueva (1987) racconta con tatto e delicatezza la scoperta di sé stessi e dell’amore attraverso la riappropriazione del potenziale espressivo del proprio corpo. A volte per essere sé stessi può bastare farsi largo con disinvoltura sulla pista di ballo e prendere parte alla festa.

LAGI SENANG YAGA SEKANDANG LEMBU – Amanda Nell Eu | visto da Carlotta Magistris

Presentato al Festival di Venezia 2017, girato dalla malesiana Amanda Nell Eu, Lagi Senang Yaga Sekandang Lembu – traducibile in italiano con “E’ più facile allevare bestiame”- racconta la dinamica preadolescenziale di un’ intensa amicizia fra due ragazze reiette, tingendola di scuro in un climax di cupezza fino ad un epilogo che ha dell’horror. Con una fotografia bella ed efficace del tutto in linea con i toni della vicenda, enfatizzata con contrasti fra immagini bucoliche ed altre estremamente oscure, il film è una cartolina a tratti surreale di un mondo che parla più a immagini che a dialoghi (quasi assenti) in maniera efficace e profonda, tratteggiando in una delle due giovani anime la figura della Potianak, tipica della tradizione folkloristica malesiana.

MANIVALD – Chintis Lundgren | visto da Carlotta Magistris

Manivald della estone Chintis Lundgren è un delicato lavoro d’animazione sul dramma dell’amore. Il mondo raccontato con un tratto estetico infantile dalla regista e popolato da evanescenti animali antropomorfi, crea una totale contrapposizione con la storia narrata, che ha in sé i tratti distintivi di una vicenda drammatica presentata in tutte le sue incensurate complessità: un rapporto morboso madre figlio, l’omosessualità, un abuso emotivo a cui segue la cocente delusione amorosa. Quello che ne esce è un corto la cui cornice visiva sembra in armonia con l’ingenuo sguardo del protagonista attraverso il quale, con a tratti un’apprezzabile ironia naif e un inaspettato riferimento felliniano, viene ulteriormente messo in luce il carico sentimentale della vicenda.

SIRENE – Zara Dwinger | visto da Margherita Fontana

Presentato in prima internazionale all’ultimo festival di Clermont-Ferrand, il corto di Zara Dwinger descrive in modo poetico la confusione dell’adolescente Kay e l’emergere della sua coscienza femminile. In questo nord freddo e quasi surreale, il giovane Kay trascorre la sua adolescenza tra moto, fango, amici (maschi) e alcol. Questa routine poco stimolante è interrotta dall’arrivo di Melody, un’affascinante ragazza che si ferma per qualche tempo sul fiume con la sua abitazione galleggiante. La tenera amicizia stretta con la ragazza restituisce a Kay una rinnovata immagine di sé aprendo all’esplorazione della sua femminilità, almeno fino alla rottura definitiva. Con Sirene Dwinger costruisce un sogno sull’amore, l’amicizia e l’adolescenza, senza rinunciare ad un certo realismo.

SNAP – Felipe Elgueta | visto da Margherita Fontana

Snap non è (solo) un cortometraggio documentario, ma soprattutto un esperimento sociale. I venti minuti del corto sono il risultato di due anni di ricerca su Snapchat e sulle piattaforme social: i registi cileni Felipe Elgueta e Ananké Pereira hanno cercato le stories delle persone che riflettessero identità di genere e omosessualità e le hanno ri-assemblate costruendo un messaggio. Il risultato è infatti a metà tra la fiction e il documentario: da un lato gli snap sono materiale video “genuino”, non editato e soprattutto pensato per rimanere online solo 24 ore; d’altra parte però i frammenti testimoniano di un processo di “finzione”, ossia di costruzione dell’immagine del sé attraverso il corpo e l’immagine. Queste storie autoprodotte sono poi trasformate dal medium cinematografico in un racconto dai toni politici: attraverso queste stories Elgueta e Pereira ci parlano anche dell’attualità del Cile, della violenza sempre più diffusa tra la gente comune, dell’omo e transfobia del paese.

VACA PROFANA – René Guerra | visto da Margherita Fontana

Nádia è una donna transgender che desidera diventare madre, mentre la giovane Ana Maria ha una bambina ma non sa che farsene. Tra dolore e delusione, le due donne arriveranno ad un accordo che promette serenità ad entrambe. Vaca Profana, del brasiliano René Guerra, racconta la maternità come una condizione dell’animo piuttosto che come una potenzialità fisiologica. Pur conservando un certo realismo, il cortometraggio non si limita al racconto cronachistico di una vicenda, ma attraverso un linguaggio simbolico pone lo spettatore di fronte ad una doppia nascita. L’atto giuridico che sancisce la maternità di Nádia si trasforma in una sorta di parto rituale: la donna e sua figlia vengono di nuovo al mondo, squarciando ciò che resta della sua identità maschile. Il contenuto immaginifico del corto è reso ancora più efficace dalla splendida interpretazione delle protagoniste, Roberta Gretchen (Nádia) e Maeve Jinkings (Ana Maria) che ci regalano scambi a due autenticamente commoventi.

VIDI JA TI NEA – Goran Stolevski | visto da Carlotta Magistris

Vincitore del premio della giuria nella sezione corti del Sundance festival 2018, Vidi Ja Ti Nea del macedone Goran Stolevski, tradotto in inglese con “Would you look at her”, è una delicata storia di affermazione di sé di una tomboy che, dopo una presunta delusione amorosa, collocata in un asfissiante contesto scolastico e casalingo dominato da una forte fede religiosa, trova una via d’uscita in una competizione religiosa riservata a soli uomini, riuscendo a dominarla e forse a cambiare le carte in tavola. Sara Klimoska incarna la protagonista, un personaggio affascinante e cupo, di una bellezza malinconica alla quale il regista dedica svariati primi piani e che rappresenta alla perfezione il paradossale connubio fra l’incertezza e il bisogno di identità di un’età e un contesto difficili.

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