Intervista a Brian Fairbairn e Karl Eccleston.
Che cosa vi ha ispirato a fare un cortometraggio in Polari? Come vi siete avvicinati al mondo di Polari?
Il nostro interesse è nato alcuni anni fa leggendo il romanzo di Anthony Burgess, “Arancia Meccanica”. Nel romanzo alcuni personaggi parlano una lingua inventata chiamata “Nadsat”, per la quale Burgess si era parzialmente basato sul Polari. Il fatto che una tempo esistesse un linguaggio in codice usato dalla comunità gay ci ha molto stupito. Il nostro primo pensiero è stato: Perché non ne abbiamo mai sentito parlare?
Il Polari come lingua è scomparso e non è stato usato per molto tempo. Come è stato scoprirlo e studiarlo per il vostro film?
Il Polari è caduto in disuso abbastanza rapidamente quando l’omosessualità è stata parzialmente depenalizzata nel Regno Unito nel 1967. I riferimenti al Polari si insinuavano ancora nella cultura popolare negli anni ’90, ma quando abbiamo scritto il film nel 2015 era praticamente scomparso dalla coscienza popolare queer. La fonte principale che abbiamo usato per la ricerca del film è stato il dizionario completo di Polari curato da Paul Baker. Immergersi nel dizionario è stata un’esperienza bizzarra, come trovare una civiltà sepolta intatta, tipo Pompei. Guardavamo ogni parola e pensavamo “come l’avrà usata la gente?” o “Come suonava?”.
Il Polari che si vede nel film è una nostra ricostruzione – è una versione esagerata di come potrebbe esser stato usato, tuttavia pensiamo che dia il sentore di quanto inventivo ed esuberante poteva essere.
Nonostante inizi come uno sketch quasi comico, il film prende una piega più oscura alla fine. Perché?
Il Polari offre un sacco di possibilità comiche: è kitsch, osceno e pieno di allusioni pungenti. Abbiamo sempre amato gli sketch comici di Victoria Wood e quando abbiamo iniziato a scrivere il film stavamo solo scherzando e abbiamo pensato “scriviamo qualcosa di divertente”. Ma il Polari è anche pieno di luci e ombre: ci sono molte parole per descrivere il sistema giudiziario, la polizia, i tribunali e così la storia ha finito per prendere quasi spontaneamente una piega più oscura. Il film alla fine è imperniato su una confessione: il personaggio interpretato da Steve Wickenden ha fatto qualcosa di terribile e ha bisogno di parlarne e alleggerirsi la coscienza. Il fatto che si aggiri per il parco non in cerca di sesso ma perché ha bisogno di confidarsi con un altro essere umano è ciò che, col senno di poi, dà al film la sua oscurità.
Com’è stato scoprire il mondo della comunità LGBT degli anni ’60?
La cosa più sorprendente del Polari è che ci dà una visione completamente diversa di un mondo che pensiamo di conoscere. Il film “Victim” di Basil Dearden del 1961 mostra un lato dell’esperienza queer – le leggi, i tribunali, le minacce di ricatto – e noi abbiamo una grande familiarità con queste narrazioni di oppressione. Ma Polari è espressivo, colorato, trasgressivo e quindi mostra un lato completamente diverso dell’esperienza queer. Non c’era solo l’oppressione: c’era anche l’umorismo di fronte all’oppressione.
Questa non è la prima produzione incentrata sulle lingue. Da dove viene il tuo interesse per le lingue?
Brian ha vissuto in diversi paesi crescendo e Karl ha studiato a Parigi quando aveva 20 anni, quindi siamo sempre stati interessati alle lingue. A volte sono una lingua specifica o le espressioni legate a una certa epoca a intrigarci, ma il nostro punto di partenza è sempre una particolare chicca storica o l’idea per un personaggio o un’ambientazione.
Quali sono i vostri progetti per il futuro?
Attualmente siamo lavorando alla post-produzione di un altro cortometraggio – un dramma d’epoca ambientato nella Londra dell’epoca della Reggenza, incentrato su un famoso scandalo legato a un caso di sodomia. Stiamo anche sviluppando un lungometraggio che abbraccia diversi periodi della storia inglese, ma è un progetto ancora in divenire.
Intervista a cura di Isabella Carini
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