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a cura di Claudia Praolini | recensioni a cura di Carola Visca

Ubik è una sezione non competitiva del festival dove trovano spazio le opere dal linguaggio più innovativo. La ricerca di cortometraggi che sperimentano nuove strade di espressione è una prassi che sta alla base della valutazione e della selezione di tutti i film presenti a Concorto, ma con i corti proposti in Ubik ci si è spinti in territori ancora meno esplorati, dove il confine tra cinema e videoarte si fa sempre più labile. È un cinema che parla di sé, un cinema che rivolge l’occhio verso se stesso, rivelando senza pudore i meccanismi alla base della registrazione visiva, un cinema che, consapevole delle proprie strutture e del proprio specifico linguaggio, decide di “scoprire l’inganno”, ma proprio questa procedura fa sì che lo “svelare” renda la visione opaca, come se il meta-cinema fosse una lente che funziona al contrario, in grado di offuscare gli strati infiniti di cui è composta la realtà e l’esperienza della visione.

I film selezionati 

a cura di Claudia Praolini

That’s all from me di Eva Könnemann
Non te vexo di Xacio Baño
Incident di Bill Morrison
Nafura di Paul Heintz

Recensioni a cura di Carola Visca

That’s all from me di Eva Könnemann

In questo cortometraggio di autofiction, la regista Eva Könnemann riflette sulle difficoltà di coniugare maternità e ricerca artistica in uno scambio di lettere fittizio tra una filmmaker in crisi e una scrittrice, entrambe madri di differenti età. Esponendo in maniera autoriflessiva la propria forma visuale e di scrittura, il corto dà uno sguardo alle ambizioni di una donna tra desiderio di libertà e aspettative sociali. Come possono convivere la madre e l’artista? Della maternità emerge il carattere assolutistico, un votarsi all’altro che non lascia spazio al desiderio della donna di progredire artisticamente, obbligandola in qualche modo a fare della
sua condizione l’oggetto stesso del suo film. La frustrazione del voler trovare tuttavia un oggetto di ricerca al di fuori di sé – qualcosa con cui non si ha niente a che fare – porterà la regista a misurarsi, su consiglio della scrittrice, con la semplicità della vita comune (le considerazioni di un appassionato di birdwatching) in quel confronto umano inesauribile per capire chi siamo e il nostro posto nel mondo.

 

Non te vexo di Xacio Baño

Non te vexo è un elogio alla fotografia del regista spagnolo Xacio Baño: un videosaggio che nelle sue meditazioni spazia dalla materialità delle immagini (il binomio analogico/digitale, le doppie esposizioni, le cartoline di guerra) agli usi che ne facciamo, esplorandone il legame con la memoria e la sua rimozione. La perfetta riproducibilità del reale che ha caratterizzato
la fotografia sin dai suoi esordi come un’arte di fantasmi – figure paradossali a metà tra la presenza di un oggetto e l’assenza del suo referente – lega direttamente le pratiche fotografiche alle arti della memoria. Gli archivi della memoria sono fatti di fotografie che guardiamo, tocchiamo e strappiamo, come se potessimo interagire realmente con ciò che rappresentano. Ma la fotografia, ci dice il regista, ha smesso oggi di essere documento di presenza e testimonianza di un passato necessario a costruire il presente: le immagini contemporanee sembrano perdere aderenza al reale, in una smaterializzazione radicale che rende impossibile qualsiasi riconoscimento.

 

Incident di Bill Morrison

Il regista sperimentale Bill Morrison ricostruisce in questo cortometraggio di found footage l’omicidio di Harith Augustus, barbiere afroamericano ucciso con diversi colpi di pistola dalla polizia di Chicago nel luglio del 2018. Il film restituisce una narrazione fedele dei tragici avvenimenti dell’ennesimo episodio di police brutality americana, grazie alla ricostruzione dei diversi punti di osservazione forniti dalle riprese di telecamere di sorveglianza e bodycam indossate dai poliziotti. Morrison eleva in tal modo l’immagine digitale a testimonianza della verità, facendone al tempo stesso un dispositivo della «società della sorveglianza» contro i suoi stessi avamposti. Se l’attenzione dei suoi film precedenti si era soprattutto concentrata sulla materialità della pellicola (il deperimento del supporto filmico e conseguentemente dell’immagine), pur mantenendo continuità nell’utilizzo di materiale d’archivio, Incident segna nella filmografia del regista un’importante svolta politica con un occhio alla storia recente
degli Stati Uniti.

 

Nafura di Paul Heintz

Tra l’onirico e il reale, Nafura di Paul Heintz è il road movie di un gruppo di ragazze di cui non conosciamo mai il volto, grazie all’applicazione di maschere luminose simili a macchie che celano i loro lineamenti. Ambientato in Arabia Saudita, il viaggio notturno delle protagoniste conduce alla fontana di Gedda, il cui getto – il più alto al mondo – diventa simbolo di un potere autoritario e maschile che si eleva al di sopra di una città punteggiata di volti luminosi simili a quelli delle tre donne. Nel gioco in cui le tre giovani sostituiscono la parola ‘‘nafura’’ (fontana) ai termini tabù, scopriamo le proibizioni contro cui esse oppongono un desiderio di libertà, che lungo il viaggio si realizzerà simbolicamente nell’operazione di spegnimento della fontana. Acqua e luce vengono così esplorati nella loro dimensione allegorica in un viaggio di emancipazione che alterna a sequenze quasi documentarie immagini sospese nel sogno create con software digitali.