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Dopo la lunga e danzereccia serata di ieri, cosa ci attende oggi a Concorto?

Iniziamo alle 17 a Palazzo Ghizzoni con un incontro tra Non Una di Meno Piacenza e Margherita Fontana e Vanessa Mangiavacca, curatrici del focus Elle, infatti a seguire alle 18 proietteremo la seconda parte dei corti presenti in questa sezione.

A Parco Raggio ore 21 iniziamo con Bare Trees in the Mist che ci porta nello sconfinato Nepal, a seguire Fin De Saison (Summer is Ending) a metà tra il thriller e il musical e poi Nagot Att Minnas, animazione in stop motion di Niki Lindroth von Bahr che ha lavorato come costumista per artisti tipo (uau) David Bowie e Fever Ray.

Seguono Alive, che ci mostra una prospettiva nuova e fresca sulla disabilità, e T che ci porta nel T Ball, cerimonia che si svolge ogni anno a Miami in cui vengono celebrati i propri defunti. Chiudono la serata Potop, che rielabora in modo originale il conflitto generazionale e Sole Mio che ci porta in una vicenda familiare nella Francia borghesotta.

In serra imperdibili i corti Music Riot e al boschetto… incontro con Seeyousound festival, partner appunto della rassegna Music Riot.

Bare Trees in the Mist – Rajan Kathet
Visto da Vanessa Mangiavacca

Esiste un angolo della terra in cui regna il silenzio, in cui gli spazi sono così vasti e immacolati da trasformare ogni rumore in nota, in una sinergica sinfonia tra le azioni primitive dell’uomo e il sussistere eterno della natura. Avvolte nella nebbia, sulle alture del Nepal, possiamo scorgere poveri villaggi e comunità la cui vita ruota attorno ai rituali dell’agricoltura, del lavoro artigianale, della cucina, in un ritmo diametralmente opposto a quello caotico della città. Kaali è una giovane madre, aspetta che il marito torni da un viaggio con un po’ di soldi per la famiglia: attraverso l’incontro con i vicini di casa percepiamo insieme alla protagonista quella snervante e irrequieta attesa nella ricerca silenziosa di certezze, non solo economiche ma anche emotive. L’ambiente circostante si muove in simbiosi con queste sensazioni, capace di assorbire e restituire con il proprio linguaggio le inquietudini sottostanti; anche le immagini sembrano svilupparsi in concomitanza con essa, fino alla loro esplosione allo sciogliersi di un nodo alla gola. Rajan Kather racconta povertà e attesa con estrema delicatezza attraverso questo viaggio, fisico e non, che ha come punto d’arrivo una triste presa di coscienza. Arriva un momento in cui tutti ci sentiamo alberi spogli, smarriti: impariamo, dalla natura, ad attendere nuove primavere e tornare rigogliosi.

Fin de Saison – Matthieu Vigneau
Visto da Irene Pagano

A metà tra il thriller ed il musical,“Fin de Saison” di Matthieu Vigneau ha buone probabilità di infiltrarsi nei vostri incubi ricorrenti. Grazie alle espressioni vuote degli attori, ai balletti buffi e a una sovrabbondante quantità di scarpette da mare trasparenti, Vigneau mette in piedi un carosello del grottesco in cui gli unici personaggi a non parlare cantando si esprimono attraverso poetici sproloqui ed ideogrammi dipinti con la salsa. Se la composizione pulita delle immagini, lo scenario bucolico e l’eloquio arido ricordano “Dogtooth” di Lanthimos in un improbabile matrimonio con i colori e i manierismi del primo Wes Anderson, l’inquietudine trasmessa è di una qualità molto particolare, affatto derivativa. Sembra che, anzichè iniziare a cantare quando colti da forti emozioni, i personaggi siano maledetti dall’anatema del musical, costretti a schiacciare inevitabilmente i propri sentimenti più umani, deprimenti e frustranti all’interno di allegri motivetti. Come molte le storie di stranezza ed orrore, però, “Fin de Saison” è anche una storia d’amore. Un amore che si potrebbe definire forse gotico, come suggerisce il carattere scelto per il titolo.

Nagot Att Minnas – Niki Lindroth Von Bar
Visto da Yorgos Kostianis

Mentre il nome Niki Lindroth von Bahr, potrebbe essere un po’ difficile da ricordare, l’estetica evocativa dei suoi film è in qualche modo indimenticabile.
Niki ha lavorato come creatrice di oggetti di scena e costumista per artisti venerati come David Bowie e Fever Ray. Tuttavia, è l’animazione in stop-motion dove il suo talento eccentrico spicca davvero.
Nel 2017, il suo terzo cortometraggio The Burden, ha fatto incetta di premi in tutto il mondo, incluso il massimo riconoscimento all’Annecy International Animated Film Festival; I suoi film sembrano piccoli purgatori. Caricature di un mondo così sorprendentemente realistico nei suoi dettagli, eppure incredibilmente surreale nella sua stravaganza. Il suo ultimo film, “Something to Remember”, si svolge come un canto del cigno prima della fine del mondo dopo un incidente al laboratorio del CERN.

Alive – Jimmy Olsson
Visto da Irene Pagano

Victoria non è una creatura avvilita, alla disperata ricerca di amore e contatto. È una persona con dei desideri, tra cui quello di sentirsi desiderata. Non appena lei inizia a percepirsi sotto questo punto di vista, la strada pare divenire più praticabile.
“Alive” del regista svedese Jimmy Olsson presenta un approccio fresco ad un tema mai davvero abbastanza affrontato: le storie di personaggi disabili possono essere affascinanti anche se questi non sono rappresentati come supereroi. Un argomento sensibile come l’intimità sessuale può talvolta essere gestito maldestramente, soprattutto quando sono coinvolti membri di minoranze, perchè siamo stati privi di rappresentazione ed apertura adeguate così a lungo che non abbiamo ancora sviluppato a pieno un linguaggio per narrarlo. In questo caso, tuttavia, la mancanza di disinvoltura aggiunge semplicemente un’altra sfumatura di realismo alla durezza e alla gentilezza implicate nel processo. I personaggi sono quasi tanto ingnari quanto noi e, come noi, stanno ancora imparando. Vederli riuscire è sia un conforto che una spinta a riflettere. Inoltre, le attrici protagoniste recitano splendidamente interpretando interazioni assistente-cliente rispettose, amichevoli e genuinamente interessate, senza addolcire l’imbarazzo e i passi falsi che il portare avanti una relazione professionale così vicina all’intimità può spesso causare.
Infine, Olsson prova di possedere un occhio notevolmente delicato per i corpi ed il loro discorso. Vediamo Victoria venire manipolata, pulita, trasportata, fatta sedere e distendere. Ma non vediamo mai i suoi momenti di solitudine o quelli con Håkan. Come Ida, le lasciamo spazio. Lasciamo che si senta viva.

T – Keisha Rae Witherspoon
Visto da Vanessa Mangiavacca

Ogni anno a Miami si svolge il T Ball, una cerimonia afroamericana nella quale vengono celebrati i propri cari defunti, attraverso una particolare e colorata liturgia in cui ognuno confeziona stravaganti costumi per ricordare chi non c’è più. Intrecciando tre storie Keisha Rae Witherspoon racconta in maniera anarchica questo momento realizzando un documentario sperimentale unico: sono molteplici le connessione sensoriali che è in grado di scatenare T, Orso d’Oro 2020 nella sezione cortometraggi nonché anteprima italiana a Concorto. Cultura americana e africana si scontrano, raramente si incontrano (Black Lives Matter ne è una recente conferma): la supremazia della prima ha rischiato nel corso del tempo di oscurare e far si che venissero dimenticati alcuni aspetti culturali e ancestrali della seconda. L’opera, che per forma e argomento ricorda un altro storico documentario sperimentale, Divine Horseman di Maya Deren, interpreta il rito della morte come momento non tanto di festa, quanto occasione per liberare e sprigionare la propria creatività: quest’ultima è intesa come culmine espressivo, come mezzo per esorcizzare il dolore e ridare vita a chi è scomparso. CREATE OR DIE, ci viene ripetuto. T è una testimonianza culturale, un eccentrico poema visivo, una preghiera surreale e cosmica, una danza funeraria ultraterrena e inno all’auto espressione in ogni sua forma.

Potop – Kristijan Krajncan
Visto da Sofia Brugali

Potop (Il diluvio) è un’originale rielaborazione del conflitto generazionale, un cortometraggio in cui l’ambientazione verosimile incontra un’atmosfera quasi mitologica.
Nel fatiscente chalet di famiglia, un figlio vive tra il desiderio di riconciliazione con le proprie origini e tradizioni, personificate nella figura paterna, e il bisogno di rompere con esse. Una contraddizione interna che il regista Kristijan Krajnčan rappresenta attraverso la ricorrenza di simboli: l’onnipresenza dell’acqua, immagine di cambiamento, che nel suo scrosciare fa da sfondo al dilemma filiale, e il rospo, generalmente connesso a periodi di transizione e alla metamorfosi.

Sole Mio – Maxime Roy
Visto da Carlotta Magistris

Dramma familiare LGBT made in Francia, Sole mio, dall’allegorico sottofondo musicale dell’intera vicenda, è la storia di Daniel, che mente alla madre che non si da pace per la scomparsa del padre, mentre esso sta per affrontare la propria transizione M to F e diventare Lisa, lasciando alle spalle il proprio passato. Rabbia, poi rassegnazioni e intimità ma l’intorpidimento del dolore della perdita dell’amore della donna che lo ha amato non avviene, neanche davanti all’ultimo sguardo fugace.