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a cura di Vanessa Mangiavacca e Yorgos Kostianis

«The darkened cinema. That strange intimacy. Going home happy, full of colours and ideas». Ecco quel che più ci manca. A radiografare i nostri pensieri è Gabriel Böhmer: regista, illustratore, pittore, scrittore, musicista…continuate voi. Il suo corto animato The flood is coming fu parte del focus Supernature nel 2019. Lo abbiamo intervistato in occasione del quinto appuntamento di Shortcut, tra batticuori cinefili (Hedgehog in the Fog solo per vere rocce) e un po’ di vera storia del cinema (per ricordarci ancora una volta che tutto iniziò dal formato corto). Old but gold ma soprattutto old: Rhytmus 21 di Hans Richter compie 100 anni. 

Buona visione (noi nel frattempo ascoltiamo Music with Ber al bancone di un pub scozzese).

Originario di Zurigo, Gabriel Böhmer vive a Londra e la sua ricerca artistica ruota attorno alla dimensione della memoria e del sogno. Le sue opere attingono a pensieri fugaci per costruire una narrazione del subconscio. Usando immagini e scritte ridotte al minimo, il suo lavoro è spesso umoristico, a volte tragico e sempre vicino all’assurdo.

 

1 – Se dovessi presentare te stessa con solo uno dei tuoi film, quale sceglieresti?

Push This Button If You Begin To Panic di Gabriel Böhmer – 2020

Penso che sia quello che catturi più da vicino i miei ritmi interiori e il mio pensiero. Mi sono anche permesso di essere un po’ stupido qua e là. E penso che tutti noi dovremo usare un po’ di stupidità in questo momento. 

2 – Un cortometraggio che metteresti in una capsula del tempo, in modo da conservarlo per le future generazioni. 

Champagne di Jim Jarmush – 2003

Il mondo taglia sempre più velocemente. Vorrei che fossimo in grado di ricordarci di lasciare che i pensieri vaghino lentamente, ogni tanto. Questo è il corto perfetto per questo. È così semplice, si prende il suo tempo ed è assolutamente adorabile. C’è anche “I Have Lost Touch With The World” di Gustav Mahler. In qualche modo sembra appropriato per qualcuno sulla trentina che fa raccomandazioni.

3 – Il film che guardi quando ti senti malinconico.

Hedgehog in the Fog di Yuri Norstein – 1975

L’animazione e la storia sono meravigliose. Ma c’è anche un oscurità misteriosa. L’oscurità è necessaria. Sento che ci deve essere stato messo tanto amore in questo corto. Questo mi fa sempre sorridere.

4 – Un’animazione psicotropa che ti risucchia dalla realtà. 

Street of Crocodiles di The Quay Brothers – 1986

Bellissimo. Terrificante. Un balletto di assurda spettacolarità, grottesco. Con una colonna sonora di Lech Jankowski che è così profonda che fa sì che l’inanimato abbia una storia ricca e tormentata. Come se Lewis Carroll stesso stesse facendo un sogno febbrile.

5 – Un cortometraggio che consideri fondamentale nella storia del formato corto.

La Jetée di Chris Marker – 1962

Non ci sono immagini in movimento. Niente passa mai a 24 fotogrammi al secondo. È solo una serie di fotogrammi e una storia affascinante. È una grande spiegazione della libertà e delle possibilità del cortometraggio.

6 – Un cortometraggio che ti lascia imbambolato e senza parole davanti allo schermo.

Walden – Reel 4 di Jonas Mekas – 1968

Possiamo definirlo un cortometraggio? Dovremo farlo, temo! L’ho visto alla fine di una lunga giornata di festival. Era l’ultimo film della sezione e avevo un po’ sonno. C’è una parte in cui Mekas porta a spasso il suo cane sul laghetto ghiacciato di Walden. Ero sopraffatto dalla nostalgia, perché questo mi ricordava di quando portavo a spasso il mio cane a Walden… Poi mi sono ricordato: Non ho mai avuto un cane! Questo semplice diario poetico mi ha ipnotizzato al punto che mi ci sono inserito involontariamente. 

7 – Un cortometraggio che ti fa sentire in vena.

Rhytmus 21 di Hans Richter – 1921 

In vena di sperimentalismo? Rhytmus 21 di Hans Richter lo fa per me ogni volta. Penso che questo piccolo film sia meraviglioso e coinvolgente. Sembra fatto su misura per parlare d’amore.

8 –  Cosa ti manca di più dei festival cinematografici?

Mi mancano molte cose. I viaggi tranquilli in treno verso luoghi di cui non capisco le parole, il paesaggio. Studiare le mie frasi chiave: “Dov’è l’ospedale?”. “Posso avere un caffè?” “Il mio hovercraft è pieno di anguille”. E poi il contrasto con la fretta del festival. Improvvisamente essere circondato da persone. Troppa gente! Il dialogo. Passare ore intense con degli sconosciuti. Sentirmi ispirato. Sentire come se li conoscessi da sempre, anche se abbiamo condiviso quell’insolita esperienza solo un paio d’ore. Il cinema al buio. Quella strana intimità. Tornare a casa felici, pieni di colori e idee.