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La pioggia ieri ci ha graziati e siamo stati ben ricompensati: siete stati con noi nonostante il tempo incerto a godervi i nostri corti e il concerto di Glomarì. 🧡

Come inizia dunque la settimana concortiana? Ore 18 a Palazzo Ghizzoni la prima parte del Focus Lituania, qui le recensioni!

Alle 21 (ma come sapete potete arrivare già dalle 20.30 e godervi la cenetta concortiana con i food cart per tutti i gusti) apriamo le danze con The Visit, un corto delicatissimo costruito su non-detti e omissioni. Noite Perpétua ci porta nella Spagna del 1939 mentre Matriochkas ci mostra una adolescenza complessa, che tenta di affrancarsi dagli errori dei genitori; Empty Places è un inno alla malinconia dei non-luoghi e Still Working è un miraggio sulla ormai in disuso centrale elettrica di Chavalon.
Chiudono la serata Ijrain Maradona, accalorata vicenda palestinese con al centro una raccolta di figurine e Je Finirai en Prison, fuga scapestrata un po’ alla Paasilinna.

A seguire il dopofestival sotto le stelle oppure, per i cinefili impenitenti, la seconda parte del Focus Irlanda in serra!

E se piove? Concorto in caso di pioggia non si ferma. Quest’anno ci spostiamo online se c’è maltempo!
Come puoi quindi partecipare alla serata?
1. Acquista il tuo biglietto online
2. Attendi la nostra mail (la riceverai entro le 21 della serata annullata in caso di pioggia) in cui ti invieremo le credenziali di accesso alla piattaforma VOD (video on demand). Potrai visualizzare i film per 24 ore. 📼
3. Buona visione!

Se hai già acquistato un abbonamento ti invieremo il link via mail, non dovrai fare nulla.
👉 Per sapere se ci saranno serate annullate controlla regolarmente i nostri social.

The Visit – Azadeh Moussavi
Visto da Irene Pagano

Parlare di opere come “The Visit” della regista iraniana Azadeh Moussavi è arduo, perchè che parlano bene da sè, in modo più chiaro e completo di quanto un esterno possa fare.
Theodore Adorno sostenne che dopo Auschwitz fosse necessario trovare un nuovo modo per raccontare storie ed esprimere sentimenti, che anche la testimonianza straziante del sopravvissuto sarebbe suonata vuota se incastrata in stilemi ormai privi di valore. Ciò che viene qui operato è questa precisa necessità decostruttiva, dando adito ad un discorso sulla mancanza formulato attraverso mancanze.
Nonostante la vicenda si presenti lineare e immediata, Moussavi ci attira al suo interno grazie ai suoi nodi. Il corto è costellato di piccoli misteri ed omissioni. Ad esempio, la paura di Tara che corre a nascondersi quando suona il campanello, forse ricordando il giorno dell’arresto del padre, oppure l’aspetto dello stesso padre che nè lei nè la madre vedono da sei mesi, che ci viene mostrato solo di profilo in una fotografia scura; o ancora, la canzone sul ricordo di un amore che Elaheh canta allo specchio, i suoi sforzi decisi per apparire bella al marito, quasi nell’insistente necessità di creare nuovi ricordi insieme. Quando la visita viene rifiutata, la guardia risponde alle richieste di Elaheh solo facendole notare le ciocche sfuggite al suo velo e ritagliando il suo viso dal ritratto di famiglia portato per il marito, la telecamera si abbassa quasi a rinforzare il suo annullamento. Nell’inquadratura resta solo Tara, la sua espressione confusa, che allunga le mani a mettere in salvo il frammento della foto per portarlo con sè. La sua camminata da bambina sembra riaffermare la validità dell’esistenza di sua madre, del suo avere una voce, un corpo dotato di bellezza. Ma non basta. La telecamera non risale a mostrarci l’espressione di Elaheh, il suo sconforto. Ciò che riceviamo è il clangore delle porte delle celle, mentre le vere foto mutilate di una vera famiglia accompagnano lo scorrere dei titoli di coda.

Noite Perpétua – Pedro Peralta
Visto da Carlotta Magistris

Una madre rifugiata con i propri figli, la comparsa di due guardie, la comprensione della fatalità di questa visita e la richiesta di un ultimo momento di amore nei confronti dei propri bambini prima del dilaniante distacco imminente. Il film di Pedro Peralta, già reduce da apprezzamenti in altri festival internazionali, è una storia di legami familiari e autorità rappresentata con l’intensità e la sacralità figurativa di un’opera d’arte, avvolta nell’oscurità di una tenebra fotografica ed emotiva che si imprime come un’ombra nella tela vuota della mente di chi guarda.

Matriochkas – Bérangère McNeese
Visto da Irene Pagano

Anna ha sedici anni e passa il suo tempo tra rapporti sessuali occasionali e i fastidiosi e mai fissi compagni della madre. Il suo senso di noia e di solitudine guida ognuna delle sue azioni. I suoi unici modi per sfuggire alla realtà sono sesso privo di valore e i consigli sarcastici dell’amico Samy. Per molti motivi, lei è simile a sua madre. Quando Anna scopre di essere incinta, sembra che non ci sia scampo alla ripetizione della storia. In ciò non c’è nulla di sbagliato, anzi, è quasi giustizia divina. È solo naturale che Anna sia un perfetto prodotto dell’ambiente da cui proviene. Dovrebbe andarle bene, eppure no. Anna vuole uscire dal circolo ineluttabile. Qui finisce la storia. Qui la storia inizia.
Bérangère Mc Neese disegna in “Matriochkas” il ritratto di due generazioni di donne, ognuna impudentemente risultato do ciò che ha dovuto subire, ci racconta della rabbia e dell’asfissia che derivia dal vivere alla mercè di un genitore instabile che priva gli errori del loro potere potenzialmente utile alla crescita ed all’autoaffermazione.
A volte, il modo per fuggire è davvero una forma di distruzione. A volte, aprirsi e chiedere aiuto, sforzarsi di prendere un interesse attivo nelle nostre vite e delle consequenze delle nostre azioni è l’unico modo di compensare un amore così fitto di lacune.

Empty Places – Geoffroy De Crécy
Visto da Yorgos Kostianis

Una quota sempre maggiore della nostra vita viene trascorsa in supermercati, aeroporti e hotel, in autostrada o davanti a televisori, computer e sportelli automatici.

“Non luoghi”

Questo era il termine coniato dall’antropologo francese Marc Augé, per riferirsi a questi spazi di transitorietà che non hanno una valenza di significato sufficiente per essere considerati “luoghi”.
Mesi prima del blocco globale, il regista e illustratore Geoffroy de Crécy ha completato questo inno caleidoscopico alla malinconia delle macchine; ignaro dei sentimenti di nostalgia che avrebbe scatenato ai tempi di Covid.
Il paradosso dei non luoghi, secondo Augé, è che chiunque può sentirsi “a casa” in essi, indipendentemente dal proprio contesto, perché sono ugualmente alienanti per tutti.

Still Working – Julietta Korbel
Visto da Sofia Brugali

La centrale elettrica di Chavalon è un animale morente adagiato sulla collina, lo scheletro di un sogno che fu. Ad occuparsi del suo flebile respiro è un silenzioso e premuroso guardiano, forse un ex operaio, affiancato dal fedele alano. La sua tranquilla routine viene stravolta dall’arrivo di un ingegnere, incaricato della demolizione della struttura, che come un angelo della morte spegne l’ultima turbina in funzione.
Julietta Korbel si esprime in fotogrammi dai toni grigio-azzurro, caratterizzati dal pallore lattiginoso del miraggio, onorando la mole della centrale e giocando sul contrasto tra staticità e movimento. Una scelta stilistica che, accompagnata dalla quasi totale assenza di dialoghi, mormora di legami e della difficoltà di “lasciare andare”.

Ijrain Maradona – Firas Khoury
Visto da Elena Saltarelli

Questo cortometraggio, ambientato in una cittadina palestinese vicino a Nazareth durante il Mondiale di calcio del ’90, racconta la storia di due fratelli, tifosi sfegatati del Brasile, che cercano di completare il loro album di figurine. Solo una carta manca; quella delle gambe di Maradona. Per riuscire nel loro intento dovranno superare diversi ostacoli e fare delle scelte, non preventivate in precedenza. Quest’opera ci regala diversi layers di scrittura: dietro la storia principale si nasconde un interessante spaccato storico sulla Palestina degli anni Novanta, risaltata da una fotografia accurata e abbondante di dettagli politico-sociali. Il risultato è un ritorno al passato che ci fa riflettere sulle modalità comunicative dell’infanzia, piena di elementi e sfumature che, crescendo, tendiamo a dimenticare.

Je finirai en prison – Alexandre Dostie
Visto da Margherita Fontana

Je finirai en prison è bianco come la neve e rosso come il sangue: siamo in Canada, persi nel nulla, in un luogo dove “la caccia è sempre aperta”. Maureen è una donna di mezza età che dopo l’ennesima discussione con il marito si impadronisce del suo pick up, in fuga per la libertà. Un incidente farà sì che il suo destino si incroci con quello di Jelly, un giovane tossicodipendente, dando inizio ad una pericolosa catena di eventi.
Il cortometraggio di Alexandre Dostie, artista punk autodidatta dal percorso formativo atipico, è un noir dalla fotografia glaciale che ricorda certamente Fargo dei Coen, e che riesce nella difficile impresa di mescolare i generi, dal giallo alla commedia sarcastica, non senza farsi sfuggire una certa critica sociale. Uno piccolo gioiello pulp della Selezione 2020.