Siamo già a martedì, aiuto, in un batter d’occhio la settimana di Concorto si sarà volatilizzata!
Ma non pensiamoci adesso, gli appuntamenti sono tanti. Partiamo con le proiezioni all’XNL:
Appuntamento alle 20.15 per la cena a Parco Raggio e per le proiezioni alle 21; serra affollata di film anche stasera, con i corti sperimentali di UBIK alle 23.30 e la terza parte della selezione EFA.
Entre tu y Milagros – Mariana Saffon
Visto da Margherita Fontana
Entre tu y Milagros è un toccante ritratto di un rapporto madre-figlia, e del suo mutare nel corso del tempo, allo scoccare dell’adolescenza. Milagros è una ragazza di quindici anni, ancora legatissima alla madre, sua unica figura genitoriale di riferimento. Un’estate, l’incontro inaspettato con la morte farà vacillare la loro relazione e la sua stessa esistenza. Presentato a Venezia, nella sezione Orizzonti, il corto colombiano di Mariana Saffron nasce dalla riflessione della regista sul rapporto con la madre e all’emersione della sua persona che sostituisce la piattezza del suo ruolo. L’azione si consuma sullo sfondo del contesto sociale colombiano, percorso da dinamiche nocive e diseguaglianze ormai pervasive al punto da essere invisibili.
Lata – Alisha Tejpal
Visto da Irene Pagano
“Lata” di Alisha Mehta racconta la storia di una giovane collaboratrice domestica marathi e della sua quotidianità nella casa dell’alta società di South Mumbai in cui lavora. Con la sua figura minuta, il suo atteggiamento pacato e la sua voce sommessa, Lata incarna l’essenza del passare inosservati: la sua presenza è necessaria, il suo sforzo preteso, il suo duro lavoro retribuito; non è certo invisibile, eppure le porte continuano a sbarrarsi davanti a lei, tagliandola fuori e lasciandola indietro. Allo stesso tempo percepibile e non percepita, Lata trasuda una forza tranquilla e instancabile. Poiché la sua vita personale è appena accennata e i suoi pensieri e sentimenti non vengono esplicitati durante il cortometraggio, può essere difficile capire esattamente cosa lei desideri. Trova appagamento nel suo lavoro, nonostante quanto esso sia duro e quanto poco apprezzamento lei riceva per farlo? O si limita a tollerarlo, sperando che un giorno tutte quelle porte che la gente continua a chiudersi dietro rimangano finalmente aperte perché lei possa attraversarle?
Non la vediamo mai danzare euforicamente come i bambini alla festa di Ganpati. Che lo faccia o meno, ciò che conta davvero sembra essere il fatto che ora, e forse solo per ora, ha la libertà di scegliere.
Santiago 1973-2019 – Paz Corona
Visto da Sofia Brugali
Santiago 1973-2019 è un’opera di arte militante, un cortometraggio che promuove la causa cilena. Attraverso la tecnica dello split-screen, Paz Corona accosta le immagini delle numerose proteste che hanno scosso e tutt’ora animano la società civile cilena. Dal 1973 al 2019 (e ancora fino ai giorni nostri), dalla dittatura militare di Pinochet al governo di Piñera: iniziate con il pretesto dell’aumento del biglietto dei trasporti, le rivolte hanno posto l’accento sulle disuguaglianze economiche e sociali che straziano il Paese e sull’eredità del regime dittatoriale, racchiusa nella Costituzione del 1980.
In the soil – Casper Kjeldsen
Visto da Yorgos Kostianis
Quale sarebbe l’opportuna linea di azione da seguire quando scopri che la fossa che tuo padre sta scavando, come fosse posseduto, è destinata a diventare la sua tomba?
Karoline sta per scoprirlo, costretta ad assistere all’ossessione da incubo di suo padre Kjeld di tornare nella terra.
Allievo della nuova ondata di horror allegorici, il regista danese Casper Kjeldsen ci presenta un inquietante thriller psicologico aperto a vari livelli di interpretazione. Kjeldsen ricopre abilmente temi di sgretolamento dei legami familiari e di lutto in combinazioni di colori angoscianti e spettrali suoni di violoncello che danno vita a una visione cupa e tuttavia adrenalinica sull’esistenza e sul suo inevitabile capitolo finale.
Sefid Poosh – Reza Fahimi
Visto da Sofia Brugali
Quando l’anziana madre di un condannato a morte si presenta alla sua porta, recando in dono del formaggio di capra, Ahmad promette di riferire al padre la supplica della donna: intercedere presso la famiglia della vittima affinché perdonino e risparmino suo figlio. Al diniego del padre, Ahmad prende seriamente il proprio impegno, cominciando la sua piccola avventura per le case del villaggio, nonostante il freddo, il buio della notte e le numerose offerte di ristoro. Reza Fahimi ci regala una storia di commovente purezza, affrontando il tema della morte e della pena capitale dal punto di vista di un bambino.
Son of Sodom – Theo Montoya
Visto da Yorgos Kostianis
Nelle caotiche strade di Medellín, il regista colombiano Theo Montoya si sente intrappolato.
Perseguitato dai fantasmi del passato e incatenato dai suoi ricordi, la sua unica forma di escapismo è l’illusione della cinematografia.
In uno dei suoi casting incontra l’aspirante protagonista del suo film, Camilo, e rimane ipnotizzato dalla sua giovinezza, dalla sua sessualità disinibita e dalla sua nonchalance nei confronti della morte.
Una settimana dopo, scopre con sgomento che Camilo è morto per overdose di eroina.
Montoya schiacciato dal peso di testimoniare il soccombere di una generazione intera alla violenza e al nichilismo, diventa ossessionato dal ripercorrere la vita di Camilo, intervistando alcuni dei suoi amici e conoscenti e sbirciando nei suoi account digitali dove era conosciuto con lo username di Son of Sodom.
Da Keats e Rimbaud a Gregg Araki e Gus van Sant il tropo del giovane tormentato che vive veloce, muore giovane e lascia dietro un bel cadavere sembra essere una fascinazione morbosa che persiste negli anni e nelle generazioni, lasciando, ormai, un retrogusto quasi di sfruttamento.
A suo merito, tuttavia, Montoya sembra sapere come camminare sul filo del rasoio tra il tragico romanticismo e una semi-documentazione delle lotte della comunità queer.
La sua elegia a Camilo si trasforma in un’introspezione esistenziale di una generazione che lui sente condannata a continuare a danzare sulle rovine del proprio passato.
BoxBalet – Anton Dyakov
Visto da Irene Pagano
“Boxbalet” è la delicata storia dell’improbabile legame romantico sbocciato tra due persone che non potrebbero essere visivamente più incompatibili: un pugile rozzo e scorbutico e una graziosa ballerina di danza classica. Alle prese con un lavoro che amano ma che non basta più a renderli felici, sottraendosi alle mani artigliate di un coreografo repellente e insidioso e ai pugni inarrestabili di un avversario crudele sul ring, la bizzarra coppia riesce a costruire per sè uno spazio (più o meno) sicuro lontano dalla pressione insopportabile delle loro vite e a trovare pace l’uno nell’altro.
Anton Dyakov sviluppa una storia d’amore semplice ma toccante che non lascia spazio alle idealizzazioni irrealistiche e ai cliché di molte stucchevoli commedie romantiche. I personaggi, i cui tratti sono stilizzati quasi fino alla caricatura, hanno corpi gommosi e plastici e si muovono attraverso le scene ciascuno con la propria caratteristica andatura. Eppure l’elemento più potente è, in fondo, quanto sinceramente e inaspettatamente i protagonisti si amino, quanto siano veramente ipnotizzati nel vedere l’altro esibirsi sul rispettivo palcoscenico. Se la loro fosse davvero una sintonia perfetta, potrebbe persino essere possibile che un guanto da boxe spunti attorno alla mano minuta di una ballerina, nel caso in cui l’amore lo richiedesse.
Commenti recenti